Salva-Stati, Conte tenta il compromesso: si tratta con l'Ue sul "pacchetto"

Salva-Stati, Conte tenta il compromesso: si tratta con l'Ue sul "pacchetto"
di Marco Conti
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Lunedì 2 Dicembre 2019, 07:33 - Ultimo aggiornamento: 12:36

Alla fine il cerino finisce nelle mani di Giuseppe Conte che a sera inoltrata riunisce a palazzo Chigi l'ennesimo vertice di maggioranza che si conclude con una nota unitaria nella quale si difende il Mes, inserito però nel pacchetto di riforme, ma lo si rimette al voto del Parlamento del 10 che così deciderà le sorti della riforma salva-stati e del governo.
Alla riunione notturna partecipano tutti, tranne Italia Viva che preferisce sfilarsi dalla contesa dei pro e dei contro la riforma del Salva Stati. Intorno al tavolo si ritrovano, oltre al presidente del Consiglio, il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, il leader M5S Luigi Di Maio, il capo delegazione del Pd Dario Franceschini e quello di Leu Roberto Speranza. E ancora i ministri Stefano Patuanelli, Riccardo Fraccaro e Vincenzo Amendola.

Salva Stati, firma a febbraio e poi un anno per la ratifica e per trovare un accordo sull’unione bancaria

LA RATIFICA
Il tempo stringe e, dopo giorni di polemiche che hanno avuto come unico effetto quello di far salire lo spread, si cerca un'intesa mentre nella maggioranza l'insofferenza tra alleati monta. Al ministro Gualtieri il compito di riepilogare la tempistica di una vicenda che ha ereditato dal suo predecessore e dal governo M5S-Lega. «Non è stato firmato nulla perché non si poteva firmare nulla», spiega il presidente del Consiglio ricordando che l'accordo è stato chiuso a giugno, che la firma potrebbe essere a febbraio e che, soprattutto, nelle conclusioni del consiglio europeo aveva chiesto e ottenuto che «per l'Italia vale la logica del pacchetto». Ovvero che la riforma del Meccanismo salva-stati (Mes), va bene se inserita nel pacchetto di riforme di cui si discute da tempo in Europa e che contemplano anche il bilancio dell'eurozona e, soprattutto, l'unione bancaria. Ma se per Conte bloccare ora la riforma chiedendo un rinvio significa pregiudicare tutto il pacchetto, Di Maio si mostra alla disperata ricerca di una formula che tenga insieme la volontà di non apparire come un sabotatore dell'eurozona con la volontà di tenere insieme i suoi agitati gruppi parlamentari.
 



Per evitare di chiudere la riunione senza una linea comune, è Dario Franceschini a chiedere ad inizio riunione di concludere il vertice con un «nota comune» che, oltre a fungere da mandato per Gualtieri in procinto di partire per Bruxelles, dovrebbe permettere di evitare future sorprese già da oggi quando Conte andrà in aula. A notte inoltrata la nota comune di M5S-Pd e Leu esce e, riprendendo i contenuti del chiarimento fornito da palazzo Chigi il 18 novembre in risposta a Salvini, si ribadisce la logica del pacchetto e si rinvia alla decisione che il Parlamento prenderà il 10 icembre. La nota esce a firma di tutto il governo e sposa la linea del premier e del ministro Gualtieri anche se poi l'ultima parola spetterà la prossima settimana al Parlamento quando voterà la mozione che solitamente segue alle comunicazioni del presidente del Consiglio. E così il voto del 10 si carica di un compito inatteso: decidere non solo del Mes ma anche della sopravvivenza del governo. D'altra parte la più classica delle affermazioni, «io non tengo i miei», Di Maio l'aveva pronuncia quasi subito. Nel testo il leader grillino avrebbe voluto inserito un concetto simile al rinvio per il Pd inaccettabile. Prima della difesa del contenuto della riforma per i Dem è in gioco la credibilità del Paese. Ed è il ragionamento che Dario Franceschini ripropone rimettendosi però alle scelte del presidente del Consiglio che invece la trattativa ha seguito sia nel Conte1, che nel Conte2.

LE VOLTE
E' a quel punto della serata che lo scontro diventa a due: da un lato Di Maio, con un molto più cauto Speranza, e dall'altro il presidente del Consiglio. Con il cerino in mano, Conte reagisce insistendo sulla possibilità che il Parlamento ha di valutare la riforma nel momento della ratifica. Con in mano i fogli delle conclusioni del consiglio europeo del 21 giugno, Conte rilegge le frasi che rivendica di aver voluto: «invitiamo l'eurogruppo in formato inclusivo a proseguire i lavori su tutti gli elementi di questo pacchetto globale».
Malgrado Di Maio nei giorni scorsi abbia evitato di criticare l'operato di Conte, la mossa del Pd di rimettersi alle decisioni del presidente del Consiglio provoca scintille tra i due. Sono passati pochi giorni dall'intervento di Beppe Grillo, ma il quadro di un Movimento in frantumi e difficile da governare, ieri sera è emerso con una certa nettezza, così come è sempre più evidente l'insofferenza del Pd di Zingaretti.
 

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