Fase 2, il premier Conte ora sotto assedio: il Pd si smarca

Fase 2, il premier Conte ora sotto assedio: il Pd si smarca
di Alberto Gentili
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Venerdì 1 Maggio 2020, 00:29 - Ultimo aggiornamento: 08:56

Nel Vietnam che è diventato l'approccio alla fase 2, Sergio Mattarella si schiera con il governo. Nel discorso che pronuncerà questa mattina in occasione del Primo maggio, il capo dello Stato solleciterà un «responsabile clima di leale collaborazione tra le istituzioni», pur chiedendo che «le indicazioni del governo siano ragionevoli e chiare». In più, ieri sera dal Quirinale è filtrato un giudizio di merito: «La posizione dell'esecutivo», che chiede il rispetto delle linee guida nazionali fissate dal Dpcm, «è giuridicamente ineccepibile, ma il Presidente è ovviamente sempre per il dialogo».

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Dialogo difficile mentre i governatori del centrodestra, da Nord a Sud provano a smontare pezzo pezzo il cronoprogramma annunciato da Giuseppe Conte. Il premier appare sempre più solo e tra due fuochi. C'è quello dei presidenti di Regione leghisti e c'è il fuoco amico del Pd che con il vicesegretario Andrea Orlando l'invita a smetterla di andare avanti a colpi di Dpcm.

Dopo l'annuncio di domenica sera che ha lasciato scontenti gli italiani, in base a diversi sondaggi riservati, Nicola Zingaretti, Dario Franceschini e il ministro delle Regioni, Francesco Boccia, hanno deciso di modificare d'imperio la road map indicata da Conte. No ad attendere il primo giugno per la riapertura di bar, ristoranti, parrucchieri etc. come aveva indicato il presidente del Consiglio. Ma già dal 18 maggio, su base regionale, se l'andamento del virus lo consentirà dopo aver verificato gli effetti della riapertura delle attività produttive di lunedì prossimo.

Conte, finito all'angolo, ha deciso di ingoiare il rospo e la road map dem, nonostante che appena quattro giorni prima avesse detto che era troppo presto e rischioso garantire la fase 2 a maggio per bar, ristoranti etc. Il dietrofront avviene senza entusiasmo ed eccessiva convinzione: «Le riaperture del 18 maggio su base regionale è un'ipotesi da valutare e non si può dare per scontata», dicono a palazzo Chigi, «tutto dipenderà dall'andamento dei dati. E avremo due settimane, dopo il 4 maggio, per verificare se queste aperture differenziate saranno possibili». I collaboratori di Conte comunque garantiscono che «non c'è alcuna contrapposizione con il Pd» e neppure «alcuna preclusione pregiudiziale», verso l'allentamento del lockdown su base regionale.
Un approccio morbido confermato da diverse fonti dem. «E' vero, abbiamo spinto Conte a rivedere la sua road map delle riaperture», dice un ministro, «ma è stato un modo per aiutarlo a uscire da una posizione difficile, dopo l'annuncio di un cronoprogramma imposto dal Comitato tecnico scientifico che ha scontentato gran parte dei cittadini, e per provare a fermare lo scontro con i governatori che lo stava indebolendo. Per il resto stiamo con Conte e lo sosteniamo con convinzione».

I DUBBI DEML'ultima frase è vera fino a un certo punto. C'è una parte del Pd che comincia a chiedersi se il premier sarà adeguato per gestire la ricostruzione, finita l'emergenza sanitaria più stretta. «L'interrogativo è se Conte ce la farà a fare tutto, compresa la fase della ricostruzione. La risposta l'avremo solo nelle prossime settimane: decreto economico, Mes, clima del Paese. Attualmente i sondaggi dicono che gli italiani sono per la tutela della salute e chiedono coesione e unità, dunque chi fa casino come Renzi, Salvini, i governatori ribelli non viene premiato». Pausa. Sospiro: «Poi, quando sarà finita la fase dell'emergenza vera e propria e diventerà più grande la richiesta di sollevarsi economicamente, vedremo. Con un Pil che scende a due cifre ci vuole un impulso forte...». 

Una posizione non condivisa da un terzo ministro dem: «Non ci sto a questi giochi, il problema non è lui ma semmai la tenuta complessiva della maggioranza. Resto convinto che non ci siano soluzioni alternative. Dunque se cade Conte, che ha ancora un buon rapporto con l'opinione pubblica, ci sono solo le elezioni». Il problema è che non si può andare alle urne in questa fase, come dimostra lo slittamento delle elezioni regionali e comunali.

Di certo c'è che in questa fase, almeno fino a giugno, nulla si muoverà. Tanto più che i rosso-gialli devono fare quadrato per disinnescare Matteo Renzi, preparando già il soccorso centrista e forzista. E per fermare gli assalti di Matteo Salvini, per la verità in evidente difficoltà.
 

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