Padre Alberto Maggi: «In caso di danni cerebrali dissi dovevano staccare la spina»

Padre Alberto Maggi
di Franca Giansoldati
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Venerdì 27 Settembre 2019, 07:41 - Ultimo aggiornamento: 18:13

Risponde al telefono con una voce allegra anche se i momenti che richiama alla memoria sono terribili. Alcuni anni fa padre Alberto Maggi, teologo di fama, si ritrovò a fare i conti con un dilemma atroce. «Dovevo essere operato per una dissezione aortica. I medici mi prospettarono tre ipotesi. Morire sotto i ferri, restare su una carrozzina, tetraplegico o di riportare gravi lesioni cerebrali. Non ebbi alcun dubbio. Accettai subito con grande quiete interiore la morte e anche l'idea di passare il resto della mia vita da invalido. Ma le lesioni cerebrali permanenti non le potevo tollerare. Mi chiesi che senso poteva avere una vita del genere e magari essere un peso per gli altri».

E cosa decise?
«C'era poco tempo. Chiamai i miei confratelli e diedi disposizioni precise sul da farsi. Dissi loro che nel caso di lesioni permanenti al cervello solo in quel caso - dovevano staccare la spina».

Era la disperazione a farle pensare a questa soluzione?
«Non ho mai provato paure o ansie. Ho sempre sentito Dio accanto. Il mio era un ragionamento pacato».

La Consulta ha affermato che non è più punibile chi agevola il suicidio assistito di persone sottoposte a trattamenti di sostegno vitale e affette da una patologia irreversibile, magari con forme di sofferenza fisiche o psicologiche intollerabili. Che ne pensa?
«Penso che quello fatto dalla Corte Costituzionale sia un passo in avanti. Penso che lentamente stia affiorando cosa significhi la vita dignitosa di un uomo».

Lei ha posizioni in controtendenza lei rispetto a quelle dei vescovi italiani...
«Credo che la morte non interrompa la vita dell'uomo. Non mi piace la definizione di suicidio assistito. Sono per il non prolungamento di un sistema artificiale che mi tenga in vita in talune circostanze».

Un po' il caso di Dj Fabo per esempio...
«Se non ho più alcuna funzione cerebrale e non sono più io, e forse sono anche un peso per i miei familiari, ecco che si apre un'altra riflessione che diventa un atto d'amore nei confronti degli altri, di chi mi vuole bene e mi accudisce. La vita resta sacra. E la vita va difesa fino alla fine. Con i ritrovati della scienza possiamo prolungare notevolmente la nostra vita biologica. Resta però il fatto che l'uomo ha la sua dignità e, allora, ci si deve chiedere che tipo di dignità possa avere una persona che vede prolungarsi in pene indicibili. E' in queste circostanze che si deve dire stop, altrimenti diventerebbe solo accanimento terapeutico, una specie di tortura, e non ha senso».

Argomento che divide...
«È un tema delicatissimo. E non basta nemmeno che la persona in salute abbia stabilito le volontà in caso di malattia o infermità grave, perché anche all'ultimo momento potrebbe cambiare idea. Ho avuto il caso di una persona che prima di essere ricoverata ha esposto le sue volontà chiedendo che gli venisse staccata la spina. Quando la malattia è precipitata e aveva bisogno di altri interventi risvegliandosi dalla sedazione chiese di proseguire ancora, non voleva morire. Per due anni fu tracheotomizzato, con altre complicazioni e fu un calvario. Questo per dirle che nelle situazioni bisogna trovarcisi ed è difficile fare delle leggi in materia. Semmai occorre lavorare sul tema della paura della morte, perché morire per i cristiani resta il momento più bello della vita. La morte ci apre una dimensione piena e non dobbiamo averne paura».

Papa Wojtyla nell'ultimo periodo della sua vita disse una frase sulla quale in tanti si stanno ancora ad interrogare: lasciatemi andare alla Casa del Padre...
«E' facile da interpretare: Wojtyla rifiutò il prolungamento delle sue cure, e la stessa cosa fece il cardinale Martini. Bisogna lasciare la libertà alle persone. Le leggi sono imperfette».

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