Enrico Letta: «Puntiamo agli under 35 per diventare primo partito»

Il segretario dem vede la rimonta: «Siamo a un’incollatura. La storia è piena di sorprese. Sui diritti con Meloni e Salvini si fa un salto indietro agli anni ‘50»

Enrico Letta: «Puntiamo agli under 35 per diventare primo partito»
di Ernesto Menicucci
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Venerdì 2 Settembre 2022, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 16:04

Enrico Letta, segretario del Pd, tre priorità per il futuro governo? 
«Primo, il caro bollette che pesa così tanto sulle famiglie, le imprese, i piccoli esercizi commerciali. Secondo, le preoccupazioni sul lavoro, con un’agenda sociale avanzata, a partire dal salario minimo e dalla riduzione delle tasse sul lavoro per dare uno stipendio in più a fine anno ai ceti medi e bassi. Terzo, l’attuazione spedita del Pnrr, sul quale bisogna correre per non perdere le risorse europee. Risorse che significano, ad esempio, più asili nido, scuole più sicure per i ragazzi, più contratti stabili per donne e giovani. Sono le stesse tre priorità di luglio. Tutte urgenze per la vita reale dei cittadini che il governo Draghi stava risolvendo prima che Conte, Salvini e Berlusconi lo facessero cadere per calcoli di parte». 

Quali sono i temi che cavalcherà in queste ultime tre settimane di campagna elettorale?
«L’impatto della crisi energetica è una questione molto meno tecnica di quel che sembra. Per la prima volta dagli anni ‘80 gli italiani risentono parlare di inflazione e la vivono come un problema grave, pesante. La “sentono” quando fanno la spesa o a fine mese quando i conti non tornano.

Quindi il primo tema sarà il caro vita. È la tassa più ingiusta, la tassa che colpisce i più deboli. Nel prossimo fine settimana in 1000 piazze in tutta Italia ne parleremo con i cittadini e ascolteremo i loro bisogni. Poi, nei due successivi fine settimana, scuola e lavoro e povertà. E ancora ambienti e diritti. È la nostra bussola: sostenibilità sociale e ambientale e tutela della persona e della sua autodeterminazione». 

Diritti, scuola, lavoro, economia: perché le vostre ricette, secondo lei, sono migliori di quelle del centrodestra?
«C’è una visione di progresso e futuro. Noi viviamo due grandi transizioni storiche: quella digitale e quella ambientale. Tutto intorno cambia e il nostro programma è radicale, coraggioso, nella gestione di questi cambiamenti: sulle trasformazioni del lavoro, sulla giustizia sociale, sullo sviluppo che si trasforma e non può che essere sostenibile.  Le ricette della destra sono un ritorno pericoloso al passato sui diritti e il solito film sull’economia. Sono gli stessi - Meloni, Berlusconi, Tremonti - che hanno condotto l’Italia alla bancarotta nel 2011. Non ci faremo portare indietro: agli anni ‘50 sui diritti e al 2011, con l’economia a un passo dal fallimento. Pensiamo alla flat tax: non solo è iniqua e incostituzionale perché fa pagare nella stessa proporzione tutti, ma sfascia i conti e si traduce in meno servizi. In pratica, per regalare meno tasse a Berlusconi o ai superprivilegiati, rischiamo di avere meno ospedali o scuole fatiscenti. Lo hanno già fatto: i tagli lineari, i condoni, gli interventi a favore di rendite e privilegio. Proprio ora che l’Italia è risanata, non possiamo permettergli di rifarlo». 

Realisticamente, quante chances avete di vincere?
«La chance dipende da quanto siamo in grado di portare le persone al voto. Ci sono milioni di indecisi, specie tra i giovani. Siamo il primo partito tra gli under 35: è molto incoraggiante. Quanto agli esiti già scritti, la storia anche recente è piena di risultati elettorali inattesi, di ribaltamenti, di sorprese, di spinte non fotografate dai sondaggi». 

Cosa cambia se il Pd diventa il primo partito italiano?
«Siamo a una incollatura. Arrivare primo partito significa cambiare la percezione del nostro Paese, anche all’estero. E dire: la sinistra è forte, l’europeismo è forte, l’Italia non è terreno brado per la destra peggiore di sempre, per i sovranisti. E significa naturalmente incidere molto di più, da protagonisti, sugli equilibri nel prossimo Parlamento. A maggior ragione se dall’altra parte, vogliono, come non nascondono di volere, stravolgere la Costituzione». 

Insistere sul campo largo con M5S, alla luce dei fatti, è stato un errore? Ci sono margini per un futuro dialogo?
«No, ha garantito anzi un sostegno stabile al governo di unità nazionale. Fino alle amministrative di giugno il M5S non ha mai messo davvero in fibrillazione l’esecutivo. Le tensioni arrivavano da Salvini. Poi la scelta deliberata di Conte di far cadere Draghi ha buttato tutto alle ortiche. Mi pare che la rivendichi addirittura. Gli italiani hanno gli elementi per giudicare». 

Lei chiede di scegliere: non è la lavagna dei buoni e cattivi?
«No, è la fotografia della realtà. Nella nostra campagna Scegli ci sono 6 grandi temi - la politica estera, le tasse, la salute, il lavoro, i diritti, l’ambiente - su cui non si può che stare o di qua o di là. È poi la conseguenza di una legge elettorale folle, che peraltro io personalmente non ho votato. Le faccio un esempio: a Roma centro ci sono Bonino per noi e Calenda per il cosiddetto Terzo polo. Chi vota Calenda non ha alcuna possibilità di farlo eleggere. Nemmeno una. Quindi un voto a lui, o anche alla candidata del M5S, è un voto a Mennuni, di Fratelli d’Italia. Riassumendo: chi vota Terzo polo vota FdI. Chi vota M5S vota FdI. È una logica brutale ma inoppugnabile». 

Se vince il centrodestra, cosa accade in Italia?
«L’Italia passa da Draghi a Meloni. Non c’è altro da aggiungere». 

Domenica sarete a Cernobbio: che tipo di messaggi intende dare al mondo economico?
«Che il Pd, tra i grandi partiti, è stato l’unico serio e coerente rispetto a Draghi e al governo. Che gli altri hanno fatto i propri interessi contro l’interesse del Paese. Serietà e patriottismo insieme: è una formula che chi fa impresa sa benissimo essere cruciale per la guida di un grande Paese avanzato». 

La vostra sfida si gioca anche sul Nord, visto che ieri era a Milano?
«Certamente. L’affanno di Salvini era conclamato già alle comunali di giugno proprio nelle sue roccaforti. Dobbiamo battere il ferro finché è caldo. Non sa quanti cittadini e imprenditori, nei giorni scorsi a Vicenza e ieri a Milano, mi hanno raccontato il loro disorientamento per quanto avvenuto. E in Lombardia, dove si vota il prossimo anno, c’è la grande questione salute pubblica. I disastri della sanità lombarda sono memoria purtroppo fresca. A maggior ragione lì il Pd ha il dovere di combattere una destra che strizza l’occhio perfino ai no vax». 

Non crede che un’eventuale vittoria di Meloni, Salvini, Berlusconi sarebbe il frutto di divisioni e impossibilità di far coesistere i partiti del centrosinistra?
«Lo credo. Non avrei tentato fino all’ultimo, con ogni sforzo possibile e infinita pazienza, di costruire una coalizione ancora piu larga. La decisione di rompere di Conte e di Calenda sono ancora più gravi di fronte all’unità, anche se di facciata, della destra». 

Teme la concorrenza a sinistra di M5S? Li considera di sinistra?
«Non ci si inventa progressisti. Parlano le storie personali. Il M5S è il partito di Grillo, quello che per anni ha detto che destra e sinistra sono uguali. Io dico: no, non sono uguali. Non esiste la sinistra a targhe alterne. La cultura politica, la linearità dei percorsi di vita, le grandi scelte valoriali contano e continueranno sempre a contare, per fortuna». 

Perché è contrario all’incontro tra i leader?
«Sono contrario alle impuntature senza argomenti solidi, ai format imposti da chi cerca visibilità, non al confronto in sé. Che c’è stato a Rimini, ad esempio». 

Se ci fossero le condizioni, anche in futuro, ridirebbe sì ad un governo di larghe intese o l’esperienza Draghi fa capire che è difficile mettere insieme forze politiche così diverse?
«L’esperienza Draghi è stata positiva e io spero che Draghi abbia ancora un ruolo di primo piano al servizio del Paese. Ma quel tipo di maggioranza è irripetibile».

Da segretario Pd, come giudica l’episodio di Roma, del video che ha portato alle dimissioni del capo di gabinetto di Gualtieri?
«Ha fatto bene a dimettersi, a meno di 24 ore dalla divulgazione del video. Episodio grave, conseguenze immediate». 

Dopo il voto, si apre la partita della segreteria Pd? Teme sgambetti?
«No, il Pd è l’ultimo partito italiano. Una comunità vera di milioni di donne e uomini che sono onorato di guidare. Uniti abbiamo vinto due elezioni amministrative difficilissime, uniti abbiamo fatto tutte le scelte che ci hanno portato sin qui, collegialmente. È quello che ci chiedono da sempre gli elettori del centrosinistra. E quando li ascoltiamo vinciamo».

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