Elezioni politiche 2022, i dem si aggrappano al mito della “Remuntada”: «Ma ci servono i campioni»

Elezioni politiche 2022, i dem si aggrappano al mito della “Remuntada”: «Ma ci servono i campioni»
di Mario Ajello
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Martedì 9 Agosto 2022, 08:15 - Ultimo aggiornamento: 12:23

Ok, tutto fa pensare che perderemo - questo il mood nel centrosinistra - ma c’è un mito a cui aggrapparsi o una possibilità in cui sperare: la rimonta. Impossibile? Forse, visto che la coalizione con Pd, Più Europa, Verdi e Sinistra italiana è sotto il 30 per cento secondo le previsioni.

Ma i sondaggi dicono anche che a oggi solo il 31,8 per cento degli elettori sa per chi votare. Dunque, non può che scattare a sinistra - in mancanza di altro - la grande immagine della remuntada. Come quella, diventata proverbiale, nel torneo di Champions del 2017: dallo 0-4 dell’andata al 6-1, a dir poco clamoroso, del Camp Nou che proiettò il Barcellona ai quarti di finale superando il Paris Saint-Germain.

Ma il fronte progressista ce l’ha un Neymar? No, e questo è un problema.

In politica però mai dire mai, e la riprova che anche in condizioni impossibili la rimonta è possibile sta nel Berlusconi del ‘94. Non aveva già vinto, secondo tutti, la sinistra di Achille Occhetto che già si era assicurata in scioltezza le varie tornate amministrative?

Invece, la «gioiosa macchina da guerra» andò a sbattere contro la corsa pazza e spiazzante del Cavaliere che trionfò lasciando sbigottito il mondo. Ma ora la truppa anti-destra ha una personalità dirompente come fu il Cavaliere modello ‘94? No, non ce l’ha, ma nelle campagna elettorali - così si fanno coraggio gli sfavoriti in queste ore - può accadere di tutto. 


Un caso di scuola è quello di Francesco Rutelli, candidato premier nel 2001. La situazione di partenza era un disastro. Il centrosinistra veniva da tre governi - Prodi, D’Alema, Amato con le sue freddure: «Finiremo su una sedia a rutelle» - che si erano dovuti succedere per tenere a galla la coalizione e il perdentismo pareva l’unico tratto comune da quelle parti. I Ds non avevano neppure un segretario (Folena fungeva da coordinatore), la Margherita era una creatura appena nata (ma avrebbe preso a sorpresa il 14,5 per cento) e il cartello elettorale era sbrindellato. Eppure, il richiamo all’idea di «sorpasso» su cui Rutelli martellò lungo tutta la campagna portò quasi al ribaltamento dei dati di partenza. Mentre Fini a Rutelli il “sorpassista” ribatteva così: «Se un treno è partito dopo, non potrà mai superare il treno che sta davanti perché il binario è unico». 

 


I CAMPIONI
Alla vigilia della corsa la sconfitta per il fronte rutelliano veniva data con un gap tra il 12 e il 15 per cento. Alla fine, il centrosinistra perse ma soltanto per l’1,6 dei voti. Una remuntada spettacolare, dovuta a una campagna elettorale (guidata da Paolo Gentiloni) innovativa e da alcuni altri fattori: a cominciare dalle capacità e dalla carica del candidato premier e va ricordato che molto contribuì a dare slancio a Rutelli (il quale guarda caso dopo le elezioni restò per due anni leader della coalizione anche in forza della sua performance) il voto giovanile che apprezzava il suo profilo ecologista. 16 milioni e mezzo di voti prese l’Ulivo per Rutelli, e anche quella volta mancavano pezzi alla coalizione e se ci fossero stati avrebbero contribuito alla vittoria: Di Pietro (come Calenda oggi) andò da solo e prese il 4%; non aderirono Bonino e Pannella; Bertinotti si limitò a una desistenza in alcuni collegi. «Aridatece Rutelli», vanno dicendo in molti nell’attuale centrosinistra. 


Nel 2006 sarebbe stato invece un testa a testa, ma anche lì Prodi dovette recuperare. Poi vinse ma di un soffio e stava per perdere a causa delle sparate del tipo «anche i ricchi piangono» che Rifondazione Comunista s’inventò - la patrimoniale e cose così - per spaventare gran parte degli italiani. E ancora: pochi ricordano il caso di Renzi. Alle Europee del 2014, con Matteo a Palazzo Chigi, tutto faceva pensare al boom dei 5 stelle e le piazze elettorali della sinistra erano un pianto: semi-vuote. Poi però il boom fu quello del 40 per cento per il Pd. E le facce dei dirigenti dem la notte del trionfo erano incredule: ma davvero è successo? Può accadere la remuntada ma servono i campioni.
 

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