Calenda: «Il campo largo dei dem è già morto. Terzo polo decisivo: puntiamo al 15%»

Il leader di Azione: il nostro progetto alternativo ai populismi. L'area riformista sta crescendo

Calenda: «Il campo largo dei dem è già morto. Terzo polo decisivo: puntiamo al 15%»
di Andrea Bulleri
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Martedì 14 Giugno 2022, 00:40 - Ultimo aggiornamento: 17:47

Ventiquattro ore di stop per il voto e poi via, di nuovo in giro per l’Italia. Ieri a Bologna a presentare il suo libro, oggi a Milano, per «spiegare il nostro progetto alternativo ai populismi». È vulcanico, Carlo Calenda. Galvanizzato dai risultati delle amministrative, che vedono Azione in doppia cifra praticamente ovunque, all’Aquila a un passo dal ballottaggio contro il candidato del centrodestra Pierluigi Biondi. E che dimostrano «quello che abbiamo sempre sostenuto: il campo largo Pd-Cinque stelle non è mai esistito. Quell’alleanza è già morta: sarebbe ora che Enrico Letta se ne rendesse conto». 

Onorevole Calenda, a Palermo Fabrizio Ferrandelli sfiora il 15%, a Parma Dario Costi è al 13. Soddisfatto?
«Nelle città in cui corriamo da soli si conferma quel che era già accaduto a Roma: Azione e Più Europa insieme valgono dal 10 al 22-23. Vuol dire che c’è un’area pragmatica e riformista che non si sente più rappresentata dal bipopulismo della destra e dei Cinque stelle, che può puntare al 15 e salvare il Paese. È questo il nostro schema per le politiche». 

Vuole fare l’ago della bilancia della prossima maggioranza?
«No, tutto il contrario. Quella è la vecchia idea del centro che si allea una volta con la destra una volta con la sinistra. L’obiettivo è diventare il perno centrale di una nuova coalizione formata da tutti i partiti europeisti, dal Pd alla parte più seria della Lega, che guardi all’esperienza Draghi». 
Ai ballottaggi del 26 giugno rischiate di essere decisivi in molte città. Darà indicazioni di voto? 
«Valuteremo le qualità dei singoli candidati e decideremo. A Verona già sostenevamo Damiano Tommasi del centrosinistra. In altri casi valuteremo l’affinità sulle nostre proposte». 

Secondo lei c’è qualche lezione da imparare dal voto di domenica, in particolare dal flop sul referendum?
«Il referendum è stato un errore, a forza di usarlo per qualunque cosa si rischia di usurare uno strumento prezioso. L’astensione però c’è stata anche sulle comunali, e questo deve lanciare un messaggio ai politici: il populismo fatto di rumore, che chiama i tecnici quando le cose vanno male, non funziona più. E poi una lezione dovrebbe impararla il Pd». 

Quale?
«Il campo largo coi Cinque stelle voluto da Enrico Letta non è mai esistito. Semmai è un campo stretto, e il voto di domenica ne ha decretato la morte. Sarebbe ora che Letta se ne rendesse conto, ma dubito lo farà».

Il Pd farebbe meglio a lasciare Giuseppe Conte al suo destino e a guardare ad Azione? 
«I Cinque stelle hanno dato pessime prove di governo ovunque e si stanno liquefacendo in tutto il Paese. Eppure sembra quasi che il Pd voglia morire con loro. Mi sono augurato per molto tempo che si accorgessero dello sbaglio. Ormai non ci spero più». 

Giuseppe Conte però sostiene Mario Draghi: non può far parte anche lui di quell’area europeista che lei indicava? 
«Noi lavoriamo per presentarci come terzo polo, un polo di serietà e riformismo. Non per fare la stampella del centrosinistra a trazione grillina. In molte delle città in cui si votava il Pd ha ritenuto di andare coi Cinque Stelle prima ancora di sedersi a un tavolo con noi». 

 

E allora chi vede, in questo terzo polo?
«Una parte del Pd sicuramente, quella liberale e democratica. Ma anche le componenti di Forza Italia più pulite e pragmatiche, insieme a quelle europeiste della Lega. E poi sindaci e società civile». 

E Matteo Renzi?
«Alle amministrative ha fatto la sua scelta, rimanendo saldamente dove gli faceva più comodo, un po’ con la destra un po’ coi grillini. Quella del terzo polo credo non sia più la linea di Italia Viva. O almeno non lo è stata domenica».

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