I tempi sono quelli dettati dalla Costituzione. Che siano “stretti”, però, lo ha ammesso anche Sergio Mattarella nel breve messaggio con cui ha spiegato agli italiani la decisione di sciogliere anticipatamente le Camere. La corsa verso le elezioni del 25 settembre lascia poco tempo alle forze politiche non solo per gli adempimenti burocratici, ma anche per discutere di alleanze, spartirsi i collegi uninominali, stilare i programmi e organizzare la campagna elettorale.
Elezioni, con che legge si vota? Cosa è il Rosatellum (e perché può favorire il centrodestra)
D’altra parte mai più, dopo il 1919, era capitato di votare in autunno. Candidati, presentazioni di simboli, comizi: tutto andrà fatto mentre buona parte degli elettori saranno in vacanza, distratti come non mai dal dibattito politico. In questo caso, alla difficoltà di impostare una campagna elettorale balneare, si aggiunge anche il clima di scontro con cui si è arrivati alla fine del governo: il tempo per riposizionamenti o trattative di avvicinamento è di fatto ridotto al lumicino. E dal 26 agosto, proprio mentre le vacanze volgeranno al termine, scatterà anche la par condicio. Si voterà con la la stessa legge elettorale di marzo 2018, ossia il Rosatellum, che prevede l’assegnazione dei seggi per circa due terzi in modo proporzionale e per il restante terzo con collegi uninominali. Solo che questa volta i posti da dividersi saranno molti meno: il prossimo sarà il primo Parlamento con 400 deputati e 200 senatori.
Le liste
Per i partiti piccoli
emergenza firme:
ne servono 37mila
entro trenta giorni
Per la maggior parte dei partiti che parteciperanno alle elezioni, compilare e presentare le liste è un problema politico.
Gli schieramenti
In fila al Viminale
prima di Ferragosto
per presentare
simboli e coalizioni
Gli adempimenti burocratici devono essere sbrigati nei giorni di Ferragosto. Tra il 12 e il 14 vanno infatti depositati al Viminale i simboli e i programmi. Questo significa presentarsi fisicamente al ministero dell’Interno mettendosi in fila in attesa del proprio turno, un rito che non è stato modificato nemmeno dall’era digitale. Ma non solo, perché quella è anche l’occasione in cui bisogna dichiarare i collegamenti tra liste. Dunque le alleanze. Questo significa molto semplicemente che ci sono tre settimane per decidere se presentarsi da soli oppure in coalizione. Un problema che riguarda più che altro il centrosinistra. Il centrodestra, sebbene abbia passato gli ultimi mesi a litigare e a dividersi tra maggioranza e opposizione, già sa che si presenterà unito seppur ognuno con il proprio simbolo. Quando si depositano i contrassegni bisogna anche indicare il capo politico della lista oltre al programma. Nel 2018 i partiti del centrodestra si misero d’accordo presentandone uno identico. Completamente diverso il discorso nel campo del centrosinistra. Enrico Letta ha definito impossibile un’alleanza con il M5s dopo la decisione di Giuseppe Conte di non votare la fiducia al governo Draghi e la gran parte dei dem è sulla stessa linea. Tuttavia, come dimostrano i dibattiti di queste ore, anche la strada di un riavvicinamento con Calenda e Renzi è tutt’altro che facile.
I collegi
Entro il 22 agosto la scelta dei candidati:
trattativa in extremis per ottenere il seggio
Una settimana dopo il deposito dei simboli, dunque tra il 21 e il 22 agosto, vanno presentate presso le Corti d’Appello le liste dei candidati. E qui si pone un altro problema per chi ha deciso di correre in coalizione, ovvero la distribuzione dei collegi uninominali, quelli cioè dove vince chi prende un voto in più dei suoi diretti sfidanti. Considerando la nuova conformazione che avrà il Parlamento, significa 147 sui 400 seggi della Camera e 74 sui 200 del Senato. Altra differenza è che si tratterà di collegi più ampi, e questo vuol dire anche dover fare campagna elettorale ancora più in lungo e in largo e probabilmente in zone in cui non c’è più quello che il candidato finora considerava il suo elettorato di riferimento. Inoltre, se da una parte è vero che più la coalizione è ampia, più possibilità ci sono di conquistare la vittoria, dall’altra ci sono anche più esigenze da incrociare. Normalmente si parte da uno schema teorico in cui gli stessi collegi vengono suddivisi in sicuri, incerti o a rischio sconfitta. Ma in base a quali criteri si decide poi la distribuzione? E’ questo il nodo che - ancora una volta a causa della precipitosa fine della legislatura - andrà sciolto al massimo entro 30 giorni. Nel centrodestra il dibattito, seppur non ufficialmente, è già cominciato. Forte dei sondaggi che lo danno primo partito e del voto delle amministrative del 12 giugno, Fratelli d’Italia vorrebbe che le fossero assegnati il 55% dei collegi, calcoli che però vengono respinti da Lega e Forza Italia, convinti che bisognerebbe partire dall’attuale composizione del Parlamento o comunque tenere conto anche di altre elezioni come per esempio le Europee, quelle in cui guarda caso aveva trionfato il Carroccio. Di certo il partito di Giorgia Meloni è l’unico dei tre che porterà in Parlamento un numero di deputati e senatori superiore a quello attuale. Per il Pd, che parte da zero sulle alleanze, questo è un discorso tutto ancora da scrivere. Quando si parla di collegi uninominali, d’altra parte, a contare non sono soltanto le percentuali nazionali, perché anche partiti più piccoli ma con una forte presenza territoriale possono aiutare a fare la differenza.
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