Draghi, voto di fiducia al Senato tra entusiasti e semi-depressi

Draghi, voto di fiducia al Senato tra entusiasti e semi-depressi
di Mario Ajello
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Mercoledì 17 Febbraio 2021, 10:32 - Ultimo aggiornamento: 14:24

Mario Draghi e i suoi ministri ancora non sono in aula per il discorso e il voto della fiducia ma al Senato già sciamano gli entusiasti e i depressi o semi-depressi. Ecco Crimi il capo politico reggente dei grillini: «Qui nessuno griderà sì con tanto entusiasmo». Ma i colleghi gli dicono: «Vito, non stare in pena, tanto tu farai il sottosegretario alla Giustizia e non è male». Ma ecco che come un tornado passa Renzi in Transatlantico, a braccetto con il capogruppo dem Marcucci suo grande amico. Ha l’aria soddisfatta Renzi da “guardate che bel governo”. Lo considera il suo capolavoro e «non ho bisogno di vantarmi».

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Salvini quando comincia la seduta in sula, e anche dopo, non è sui banchi del governo ma è come se lo fosse. «Dobbiamo fare le cose, dobbiamo farle subito e bene», ripete a tutti. I suoi gli si fanno continuamente intorno e lui dice loro: «Guai a dimenticarci dei nostri temi, come l’immigrazione». Traduzione: la Lega vuole piazzare un mastino come sottosegretario al Viminale, uno che conosce i problemi, che sa mediare e che non si fa sovrastare dalla Lamorgese. «Chi, io?», chiede il senatore Candiani: «Nella Lega molto prima delle persone viene il progetto». Il vicesegretario e neo ministro (al Lavoro) Andrea Orlando è quello che un mese fa disse: «Io in un governo con Salvini? Neanche se venisse Superman».

 

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Sarà per questo che lui come tutti i dem, sia quelli seduti ai banchi ministeriali sia quelli sugli scranni parlamentari, non sembra oggi sprizzare entusiasmo. Sono costretti a ingoiare la medicina amara, dissimulando la delusione profonda della politica che ha fatto crack e se non fosse arrivato SuoerMario molto di loro si sarebbero andati a sfracellare nelle elezioni.

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Quelli del Pd dicono: «Volevamo un governo Ursula, con Forza Italia e senza Lega, ci è toccato questo e tocchiamo ferro». Intanto, per condizionare Draghi, Pd, M5S e Leu qui in Senato hanno formato un intergruppo. Zingaretti e i suoi consiglieri lo considerano in nuce il partito di Conte. Ma il presidente dei senatori dem, Marcucci assicura: «È un ottimo strumento di coordinamento del lavoro parlamentare. Che cosa c’entra il partito di Conte?». Al Nazareno non la pensano così. Arrivano i ministri. Ecco Bianchi, titolare tecnico dell’Istruzione. Sembra un preside bonario più che severo. Ma al suo passaggio, un capannello di forzisti commenta: «In realtà è un comunista ma meglio lui che la Azzolina Banchiarotelle».

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Ma occhio a Draghi. Ha cominciato a parlare e Draghi fa il Draghi. Dice: “Unità”. Una parola! Di Maio, Patuanelli e D’Incà, terzetto ministeriale stellato, uscenti e rientranti, ora visto l’andazzo è come se vestissero abiti da grillo-tecnocrati. Ma la senatrice Lezzi, scissionista, scatenata non ci casca e ricorda: «Dibba lo aveva detto che saremmo diventati come l’Udeur». Sono tutti cambiati. Soltanto la Lamorgese è rimasta se stessa. Entrando in aula, il primo sorriso di Draghi - almeno a giudicare dagli occhi perché da lì in giù c’è la mascherina - è per lei. Il premier comincia a parlare, alla sua sinistra c’è Patuanelli e alla sua destra siede Giorgetti. È appena entrata Emma Bonino e dice: «Fino all’altro giorno erano tutti per il Conte Ter e ora tutti sdraiati davanti a Draghi. Bene, no?». Ecco il grillino d’assalto Nicola Morra: «Come vota il senatore Morra?», chiede parlando di sé in terza persona come Giulio Cesare. E risponde: «Il senatore Morra difficilmente darà la fiducia al governo ma ascolto Draghi e decido».

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Guerini, ministro della Difesa riconfermato, osserva entrando nell’emiciclo: «Comincia una fase inedita e dobbiamo tutti cambiare mentalità. Se ognuno continua a piantare le proprie bandierine, non fa un buon servizio al Paese». Guerini si siede al suo posto, Franceschini è lì accanto. Da ministro veterano con la sicurezza dell’inamovibile. Può cambiare tutto ma Dario c’è sempre. Possono spostare il mondo, ma Dario non si sposta. E speriamo di morire democristiani, quando sarà, anche perché Draghi - a giudicare dall’anti-retorica che lo pervade e dall’asciuttezza delle prime battute del suo discorso - emana un forte sapore di Andreotti e di uno sperabile ritorno al futuro.

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