Crisi governo, come arrivano i partiti al voto di fiducia? Da Pd a M5s e centrodestra, le posizioni

Ecco i protagonisti della crisi, le strategie che li animano e le scelte che potrebbero adottare domani

Nella foto: il leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte e il premier Mario Draghi
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Martedì 19 Luglio 2022, 16:48 - Ultimo aggiornamento: 19:03

Mancano meno di ventiquattro ore al giorno del giudizio che segnerà le sorti per il governo di Mario Draghi. E allora, da Palazzo Chigi al Quirinale ci si prepara. In silenzio. Perché nel gioco delle parti, sia Mattarella che i partiti, ma soprattutto il premier saranno investiti di un ruolo importante. E non basterà il sì di uno di loro per il bis. Perché i possibili intoppi sulla via delle due Camere sono dietro l’angolo, e il rischio che sul governo di Mario Draghi possa scendere il sipario, diventa ora in ora più concreto. 

Per questo è importante conoscere i protagonisti della crisi, i voleri incrociati che li animano e le scelte che potrebbero adottare domani. 

Il presidente 

Al premier il compito di mettere la prima carta sul tavolo: recarsi al Senato per le attese comunicazioni, oppure confermare in anticipo la volontà di dimettersi.

In quest'ultimo caso, l’ex banchiere della Bce dovrebbe prima fare tappa al Quirinale e solo dopo recarsi alle Camere, dove condividerebbe con i parlamentari la scelta di rimettere il mandato. Anche nella prima eventualità - le comunicazioni a partire dal Senato - la strada non sarebbe esattamente in discesa. Dopo gli interventi delle varie forze politiche, lo scoglio resterebbe  quello del voto di fiducia, a maggior ragione a Palazzo Madama dove la fronda degli barricaderi è ben nutrita.

Solo con un ampio bottino di sì, incassata la fiducia e scansato il rischio della salita al Colle, il premier potrebbe passare alla Camera il giorno successivo, dove verrebbe ripetuta la votazione fiduciaria. Con il via libera di Montecitorio, Draghi potrebbe tornare da Mattarella per ritirare le proprie dimissioni. Nonostante fonti di Palazzo Chigi nei giorni scorsi abbiano rimarcato la posizione del premier, fermo nella decisione di "lasciare", il fiume di appelli giunti dal terzo settore, dall’università, dai sindaci e dalle parti sociali, potrebbe condurre a un suo ripensamento. Ma restano anche i paletti posti dallo stesso presidente del Consiglio, che ha detto no ad un esecutivo senza M5s. Ma da più parti si ammicca ad un Draghi bis, senza il partito di Grillo, una volta ottenuta la conferma di avere la maggioranza.

Il Colle 

Che il Quirinale auspichi una ricucitura interna al Governo, ne è conferma la scelta del presidente Sergio Mattarella di “parlamentarizzare” la crisi. Questo, non solo affinché i partiti possano assumersi direttamente la responsabilità delle loro decisioni, ma anche perché possa prospettarsi la via della ricomposizione del rapporto fiduciario.

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Qualora il premier confermi la sua posizione, prima del discorso in Parlamento, Mattarella, pur non accettando le dimissioni, potrebbe sciogliere le Camere e fare in modo che Draghi rimanga in carica fino alle successive elezioni a inizio ottobre. Se, invece il capo dello Stato accettasse le sue dimissioni, il Governo resterebbe in piedi, ma a presiederlo dovrebbe essere il ministro più anziano, ovvero Renato Brunetta. Più remota per il Colle l’ipotesi di un “traghettore” o di un “mandato esplorativo” che striderebbe con la necessità di gestire rapidamente una fase delicata e tanto ricca di scadenze come quella d’autunno, tra Pnrr e legge di bilancio. 
 

Il Movimento 

Anche se Giuseppe Conte ha dato a Draghi il compito di «scegliere se il Governo cade o resta in piedi», ancora non è chiaro se il Movimento deciderà di concedere o meno la fiducia a Draghi. Perchè se al Senato, restano molti dei barricaderi del Movimento, capitanati dal vicepresidente del M5s Paola Taverna e dal vice-capogruppo Gianluca Ferrara, alla Camera cresce il fronte dei responsabili, guidati dal capogruppo Davide Crippa. Pronti all’asse con il Pd e al sostegno di Draghi, e se necessario, anche ad avviare una nuova scissione. 

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Il Centrodestra 

Controversa anche la posizione della coalizione del centrodestra. Da un lato, c'è il partito della Meloni, che punta ad elezioni subito. Non solo per uscire dalla posizione di subalternità dell'opposizione, ma soprattutto per monetizzare il primato elettorale fotografato dai sondaggi di luglio. Dall’altra, il leader della Lega Matteo Salvini, che alterna il richiamo alla responsabilità - che tanto piace ai suoi governatori del Nord -  con dichiarazioni di «indisponibilità» a proseguire con gli «inaffidabili 5 stelle», come filtrato dall’ultima riunione di oggi con i ministri e i sottosegretari. E intanto, il Carroccio, a Villa Grande, fa asse con Forza Italia che pure deve fare i conti con i malumori interni alle sue correnti.  

Dal un lato, i governisti capeggiati della delegazione di ministri FI al Governo, come Mara Carfagna, per cui domani «sarà chiaro chi lavora per il Paese e chi no». Dall'altra, coloro che abbracciano la linea salviana del "gran rifiuto" ai 5 stelle. Tra questi, il vicepresidente forzista alla Camera, Andrea Mandelli, che ai microfono di SkyTG24 conferma lo strappo: «Forza Italia ribadisce con forza che con i 5 Stelle non si può governare.  È evidente - ha aggiunto - che nel caso in cui non si dovesse riuscire a trovare una quadra, la soluzione sarebbero le urne: noi non le temiamo».


Il Pd 

Nel Partito democratico si naviga a vista, alternando il sostegno senza se e senza ma al premier Draghi alla tacita disapprovazione verso l’alleato di coalizione, il Movimento 5 stelle. Nessun strappo esplicito, anche se a largo del Nazareno molti giudicano come «irrecuperabile» la posizione del movimento, fatta eccezione per il ministro del Lavoro Orlando, che ancora prova a rilanciare l’intesa. Di certo, una possibile alleanza elettorale in vista del 2023, senza il sì al premier da parte dei grillini, sarebbe preclusa. Mentre sempre più evanescente appare la prospettiva del «campo largo» con parte delle truppe dimaiane, e i partiti di Renzi e Calenda. Nel frattempo, si lavora sottotraccia. E nel mirino delle critiche del centrodestra entra l’incontro  tra il leader dem Enrico Letta e Mario Draghi di questa mattina. Sul contenuto dell'incontro nulla è trapelato in via ufficiale, con il Nazareno che per primo ha fatto calare il silenzio perché «non è il momento dei boatos».

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