Ministri governo Draghi, Giovannini (Transizione ecologica), Belloni (Esteri) e Ruffini (Economia). Sentito solo il Colle: metà donne, leader politici fuori

Draghi, sui ministri sentito solo il Colle. Metà donne, leader politici fuori
di Alberto Gentili
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Giovedì 11 Febbraio 2021, 22:42 - Ultimo aggiornamento: 12 Febbraio, 18:51

Mario Draghi è ovviamente soddisfatto del sì di gran parte del popolo grillino al governo in costruzione. Ora il perimetro della maggioranza è chiaro e definito. Ma chi ci ha parlato, racconta che il premier incaricato non ha atteso con particolare trepidazione il verdetto. Primo, perché per tutta la giornata (dopo il sì di mercoledì di Giuseppe Conte) erano piovuti gli attestati di fiducia dei leader pentastellati. Secondo perché, narra chi è in contatto con Draghi, «anche senza i 5Stelle i numeri in Parlamento sarebbero stati ampi. Certo, non avere dentro il partito di maggioranza relativa sarebbe stato un vulnus, ma gran parte dei parlamentari grillini sarebbero corsi a votare la fiducia». Il sì del M5S dà forza ancora maggiore al premier incaricato, tanto più che la scissione degli ortodossi guidati da Di Battista renderà leggermente più omogenea la maggioranza.

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Ragione ulteriore per non trattare né sul programma, né sulla lista dei ministri che discuterà «esclusivamente» con Sergio Mattarella quando oggi salirà al Quirinale per sciogliere la riserva.

Draghi (rientrato in mattinata dall’Umbria) ha trascorso la giornata prima nell’abitazione ai Parioli e poi alla Camera a scrivere il programma. «Sta facendo una sintesi delle proposte ricevute durante le consultazioni», dice un’altra fonte che ha parlato con l’ex capo della Bce, «Mario in questo lavoro si serve del resoconto stenografico fatto dai funzionari di Montecitorio. Ed è molto preciso, meticoloso. Dosa parola per parola, sapendo che quando pronuncerà il discorso in Parlamento perfino le sillabe saranno pietre». Trapela poco o nulla anche sulla squadra di governo, visto che del silenzio Draghi ha fatto il suo metodo (in 9 giorni nessuna dichiarazione). Così di sicuro, al momento, c’è solo che il nuovo esecutivo sarà composto da politici e tecnici sul modello del governo Ciampi nel 1993. Draghi neppure ieri ha contattato i leader di partito per avere indicazioni. E questo perché applicherà alla lettera l’articolo 92 della Costituzione: saranno solo lui e il capo dello Stato a scegliere, «in piena autonomia», i ministri. Che poi verranno contattati. Senza fretta: Mattarella non ha fissato termini. E la lista arriverà tra domani e lunedì. Una situazione che lascia sconcertati i partiti. Emblematico uno scambio di battute a metà pomeriggio in piazza Montecitorio.

«A noi Draghi non ha mandato alcun segnale, neppure un sms, non vuole avere neanche una short list da cui pescare..», ha allargato le braccia un alto esponente del Pd. «Tranquillo, non ha chiamato neppure Berlusconi. Ma prima di mettere in squadra uno dei nostri dovrà almeno consultarci...», ha ribattuto un dirigente di Forza Italia. «Forse, ma per dirci che andremo a fare i ministri alle acque lacustri o alla pulizia dei tombini di Roma. In quel caso resto dove sto», ha chiosato un papavero leghista. Già, perché l’intenzione di Draghi è affidare i ministeri di peso ai tecnici, quelli di seconda fascia ai politici. E soltanto per garantire i voti in Parlamento e stabilizzare il governo. Non per una questione di reverenza. In più, filtra che l’esecutivo sarà per metà composto da donne. Al nuovo ministero per la Transizione ecologica, che incasserà alcune deleghe di Sviluppo e Infrastrutture, dovrebbe andare Enrico Giovannini (fondatore dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) o in alternativa Federico Testa (Enea) o Catia Bastioli (Novamont). Per l’Economia corrono Ernesto Maria Ruffini (Agenzia delle entrare) e Dario Scannapieco (Bei). Alla Giustizia è in pole l’ex presidente della Consulta Marta Cartabia, al Lavoro Roberto Rossini (Acli), ai Trasporti Raffaele Cantone (ex Anac), alla Difesa il generale Claudio Graziano, agli Esteri Elisabetta Belloni (segretario generale della Farnesina) o Marta Dassù, alla P.A. Luisa Torchia. Per la Scuola si fa il nome di Patrizio Bianchi, esperto del settore, mentre agli Interni si va verso la conferma di Luciana Lamorgese.

I PARTITI SENZA RISPOSTE

Nella fitta nebbia che avvolge le scelte di Draghi, i partiti sono costretti ad accontentarsi di comporre rose di nomi nella speranza che poi vengano lette dal premier incaricato. Con due precondizioni. La prima: non ci saranno leader di partito, in quanto il veto di Nicola Zingaretti e dei 5Stelle all’ingresso di Matteo Salvini, lascia in pista esclusivamente politici senza gradi da segretario. Con una sola eccezione: Roberto Speranza per garantire “continuità” almeno alla Sanità. La seconda precondizione: non più di due poltrone ai grandi partiti. Per i grillini sono in lizza Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli, per i dem due tra Dario Franceschini, Andrea Orlando e Lorenzo Guerini. Più numerosi i candidati leghisti: Giancarlo Giorgetti, fan di Draghi dalla prima ora, Massimo Garavaglia, Giulia Bongiorno, Maurizio Molinari, Erika Stefani. Più stretta la rosa di Forza Italia: Anna Maria Bernini, Antonio Tajani (Affari europei), Mara Carfagna (Famiglia). In Italia Viva si scaldano Ettore Rosato, Teresa Bellanova, Maria Elena Boschi. Per i “piccoli” si fa il nome di Carlo Calenda o Emma Bonino. Bruno Tabacci è dato possibile sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

 

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