Draghi, Mirabelli: «Può essere un premier forte anche da dimissionario. Legittimi i decreti sul Pnrr»

L'ex presidente della Consulta: la fiducia del Parlamento dà valore a tutti i suoi atti. Ma all'estero sarebbe indebolito

Draghi, Mirabelli: «Può essere un premier forte anche da dimissionario. Legittimi i decreti sul Pnrr»
di Michela Allegri
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Domenica 17 Luglio 2022, 22:37 - Ultimo aggiornamento: 18 Luglio, 19:40

Quanto potrebbero pesare le dimissioni del Governo sull’iter dei principali provvedimenti che pendono alle Camere? Quelli relativi alle riforme abilitanti per raggiungere gli obiettivi del Pnrr entro dicembre 2022, ma anche quelli relativi alla conversione di decreti-legge già varati. E poi c’è la questione della guerra, la crisi energetica, lo spread da tenere sotto controllo, l’inflazione galoppante. «Siamo in una situazione singolarissima: un Governo dimissionario che però ha mantenuto la fiducia delle Camere, ed ha quindi formalmente la pienezza di poteri e la possibilità anche di proseguire con i lavori iniziati. Il vero problema sarà a livello internazionale»: a spiegare quali potrebbero essere le conseguenze delle dimissioni del premier Mario Draghi, è il presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli.

Cesare Mirabelli

Cosa succederà se il premier dovesse confermare la decisione di dimettersi?
«La disciplina costituzionale è estremamente asciutta da questo punto di vista.

Un Governo non può mancare e la continuità tra il governo e le istituzioni è legata alla fiducia parlamentare. È questa la variabile. Ma adesso ci troviamo in una situazione singolare: abbiamo un Governo dimissionario, nonostante abbia ancora la fiducia delle Camere, con dimissioni che non sono state accettate dal presidente della Repubblica. Ci potrà essere anche una conferma di queste dimissioni senza un voto di sfiducia delle Camere. In questo caso il Capo dello Stato si riserverà di accettare le dimissioni, ma l’accettazione avverrà solo con la nomina di un nuovo Governo, o dopo le elezioni».


E il Governo attuale, che resterebbe in carica fino a quel momento, che poteri avrebbe?
«La singolarità sta nel fatto che questo Governo ha la fiducia delle Camere, ha presentato le dimissioni e il presidente della Repubblica potrebbe riservarsi di accettarle in attesa delle elezioni, che non avverranno prima di settembre, o ottobre. In questo caso specifico, la densità di poteri dell’esecutivo deriva dal fatto che la fiducia parlamentare non è mancata. Il Governo ha comunque un peso differente, e molto più consistente, rispetto a uno in cui sia venuta meno la fiducia».


Quali atti potrebbe compiere?
«Dal punto di vista formale può compiere tutti gli atti di amministrazione corrente, quindi tutti gli adempimenti, gli atti ordinari, necessari e urgenti. Può anche adottare nuovi decreti-legge. Il solito limite giuridico è che questi atti devono essere necessari e urgenti. Ma in questo caso c’è anche un limite politico: non possono essere atti che vincolino il Governo successivo. Non può compiere atti che vincolino scelte politiche che spetterebbero al nuovo Governo. Può occuparsi di documenti di finanza pubblica essenziali e per la cui presentazione sia previsto un termine in scadenza, ma, per esempio, non potrebbe varare elementi di una nuova manovra finanziaria che vincolerebbe l’esecutivo successivo. Non può occuparsi di atti che eccedano l’ordinaria gestione, o che modifichino l’indirizzo di politica internazionale finora adottati, o varare atti di politica economica che vincolino il nuovo Governo».

 


Gli atti legati al Pnrr, quindi, proseguirebbero il loro iter?
«Gli atti legati al Pnrr non solo possono, ma devono proseguire comunque, soprattutto perché il Piano, nella sua architettura, è fatto di un rapporto con l’Unione europea che è vincolante ed è stato approvato dal Parlamento. Se Draghi confermerà la richiesta di dimissioni, comunque, non sarà stato sfiduciato dalle Camere. Potremmo dire che ha le spalle coperte. Può quindi adottare tutti i provvedimenti che erano stati giudicati necessari dal Parlamento».


Come cambierebbero i rapporti a livello internazionale?
«Il vero problema è che il Governo sarebbe politicamente indebolito sul piano sia interno che internazionale. Penso alle emergenze che deve affrontare l’Unione europea, dalla crisi energetica alla politica di difesa comune, dalla guerra al contenimento dello spread, fino all’inflazione. Mai come in questo periodo è necessario che il Paese abbia una rappresentanza forte all’estero. Se il presidente del Consiglio è dimissionario, ed è quindi risaputo che il suo mandato avrà una durata breve, a livello internazionale avrà meno peso e meno incidenza. L’orizzonte temporale è troppo limitato».

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