Governo, Draghi: «Scelgo io i ministri». Il Pd vuole soltanto tecnici

Draghi: «Scelgo io i ministri». Il Pd vuole soltanto tecnici
di Marco Conti
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Domenica 7 Febbraio 2021, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 17:44

Dall’incontro con il premier incaricato esce un Matteo Salvini quasi folgorato da Mario Draghi, «persona assolutamente stimabile» con la quale «abbiamo idee comuni sull’Italia». Parole che si trasformano in sale sulle ferite dei dem che, per non diventare subito un problema per lo stesso Draghi, hanno inseguito ieri e smentito, la suggestione dell’astensione, avanzata da Goffredo Bettini, e che avrebbe portato il Pd sullo stesso lato di FdI. 

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L’ORIZZONTE
I tentativi - un po’ alla “Willy-Cojote” - di spingere la Lega fuori della maggioranza, non sono riusciti. Anche perché il partito di Nicola Zingaretti si è ritrovato solo con Leu nella battaglia mentre era da subito evidente che per il M5S il problema non era Salvini, ma Draghi. Superato, non senza tormenti e defezioni, l’ostacolo sul nome dell’ex banchiere anche sulle cose da difendere, e quelle da fare, le differenze con i dem sono risultate evidenti. D’altra parte il M5S difende a spada tratta il Reddito di cittadinanza e lo “spazzacorrotti”, due riforme fatte con il Carroccio nel Conte I, mentre Grillo ieri ha lasciato Roma parlando di “ambiente e giovani” come orizzonte del Movimento.

La “maggioranza Ursula” - che doveva servire per il Conte ter e che si voleva offrire anche a Draghi in modo da tagliare fuori la Lega - non c’è più. O meglio tra qualche giorno - dopo che martedì sera o mercoledì mattina il premier incaricato avrà sciolto la riserva al Colle - nascerà la “maggioranza-Draghi”. Vasta, vastissima e che non di meno avrà un tasso di europeismo elevato e nella quale c’è anche la Lega che dà i suoi voti cercando di nascondere le contraddizioni sotto i 209 miliardi del Next Generation Eu.
Invece di dare più o meno causticamente il “benvenuto” a Salvini - magari ricordandogli alcune passate affermazioni - il Pd ora si lacera e alla sua sinistra si assiste ad una nuova scissione.

Leu, infatti, si spacca con Sinistra italiana di Fratoianni, Palazzolo e De Petris che ribadisce la sue diversità «dai razzisti» prendendo strade diverse da Articolo1 di Fornaro, Speranza, Bersani e D’Alema. 

Ma il vero problema resta in casa dem. Mario Draghi ha già spiegato in più di un colloquio che «i ministri li scelgo io» e che intende costruire il governo valutando i nomi con il Capo dello Stato. L’intenzione dell’ex banchiere centrale è quella di avere tutti tecnici, anche se magari di area, ma le pressioni di questi giorni sono state forti e hanno lambito anche il Quirinale. La presenza della Lega spinge però il Pd a ritirare la sua squadra, che si voleva far guidare addirittura dal segretario Zingaretti, per ottenere un esecutivo con ministri tecnici. 
Sostenere, per i dem, un governo dove la prima fila è fatta di soli esperti e professori - seppur in quota - è certamente più facile. Il problema però è che tale preferenza - che incontra le intenzioni del premier - innervosisce moltissimo i grillini. Giorni fa era stato lo stesso Giuseppe Conte a sottolineare, parlando in piazza Colonna, che c’era bisogno di «un esecutivo politico». 

LA VIRGOLA
Una precisazione dovuta non ad interessi personali, smentiti ieri dallo stesso Conte, ma perché il Movimento è avverso ai governi dei tecnici professando la tesi dell’ «uno vale uno» e del «questo lo dice lei». I grillini sono pronti ad accettare qualche importante innesto, ma non un completo azzeramento dei politici. Le pressioni della pattuglia uscente del M5S - da Di Maio a Bonafede passando per Patuanelli - sono fortissime. Ma il via libera a Draghi ieri c’è stato e lo ha dato il reggente Vito Crimi. Per ora si è evitata, quindi, anche la consultazione sulla piattaforma Rousseau che, secondo alcuni, avrebbe certificato la maggiore democraticità del Movimento rispetto agli altri partiti, ma la pattuglia degli scontenti grillini è destinata ad aumentare. L’alleanza riformista coltivata al Nazareno per mesi che, si è riunita solo qualche giorno fa con lo stesso Conte, di fatto non esiste e ieri è saltato l’ultimo vertice. A farla saltare sono i 63 senatori leghisti che ora vogliono metter bocca sul Recovery Plan.

Il premier incaricato continua a rassicurare tutti chiedendo a tutti di concedergli fiducia. Così avverrà in Parlamento - e anche con numeri da record - ma è largamente prevedibile che il primo contraccolpo che subiranno i partiti avverrà a metà settimana alla lettura della squadra governativa, con tanto di ministri, vice e sottosegretari scelti da Draghi. Sia i tecnici che i politici. 

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