Crisi governo Draghi, cosa può succedere mercoledì alle Camere? I tre scenari

Il premier dimissionario (ma con le dimissioni "congelate" da Sergio Mattarella) si rivolgerà direttamente ai partiti, e soprattutto al Paese. E illustrerà le ragioni che lo hanno portato all'addio

Mercoledì il giorno della verità per il governo Draghi: cosa può succedere alle Camere? I due scenari
di Andrea Bulleri
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Venerdì 15 Luglio 2022, 11:58 - Ultimo aggiornamento: 23:45

«Rendere comunicazioni» alle Camere. È questo, si legge nella nota di fine giornata del Quirinale, il motivo per il quale Mario Draghi si presenterà in Parlamento mercoledì, subito dopo il rientro dal viaggio ad Algeri programmato da mesi. Tradotto dal linguaggio della politica, significa che il premier dimissionario (ma con le dimissioni "congelate" da Sergio Mattarella) si rivolgerà direttamente ai partiti, e soprattutto al Paese. E illustrerà le ragioni che lo hanno portato all'addio. Ed è lì che si capirà se esista un margine per convincerlo a restare a Palazzo Chigi, come in molti sperano nella maggioranza. 

Gli scenari

Molto, come ovvio, dipenderà proprio dalle scelte di Draghi. «La fiducia in fondo l'ha incassata - ripetono sia dalle parti del centrosinistra che da quelle dei "dimaiani" - speriamo che in questi giorni ci ripensi...». Tre gli scenari considerati più probabili dopo l'addio al governo.

Il primo, ritenuto a oggi uno dei più probabili nel borsino della crisi, è quello che cerca di scongiurare chi lavora perché l'esecutivo resti in sella. Ossia le dimissioni confermate.  

La conferma dell'addio

Draghi potrebbe presentarsi mercoledì a Montecitorio, spiegando il perché della scelta di dimettersi. Parole che non è difficile immaginare: «Non si può andare avanti con gli ultimatum», aveva già avvertito nei giorni scorsi. «Con l'addio del Movimento 5 stelle non ci sono più le condizioni per andare avanti». Dunque, addio confermato. Irrevocabile. Magari anche senza aspettare il voto delle Camere, che a quel punto non servirebbe più. Visto che il premier, la sua decisione, l'ha già presa. 

In questo caso, subito dopo aver tenuto il suo discorso a Camera e Senato, Draghi andrebbe dritto al Quirinale, confermando la sua decisione di giovedì sera. Il Capo dello Stato, in questa situazione, con ogni probabilità non potrebbe far altro che accettare le dimissioni. E aprire ufficialmente la crisi, dando inizio alle consultazioni. A quel punto, la regia dei giorni e delle settimane successive sarebbe in mano a Sergio Mattarella, e a ciò che gli chiederanno i partiti nei colloqui successivi. Voto a settembre? Nuovo governo di "alto profilo" per traghettare il Paese alle urne in primavera? Le strade sono aperte. 

 

Un nuovo sostegno

La seconda opzione prevede invece che mercoledì deputati e senatori si esprimano sul sostegno all'esecutivo. Magari votando una mozione o una risoluzione che chieda a Draghi di andare avanti. È ciò che si augura il Pd, che ha già ribadito di voler sfruttare i prossimi giorni per convincere il premier a restare. La fiducia al governo dell'ex capo della Bce, qualora questo scenario andasse, non è in discussione. I numeri ci sono, anche senza i Cinquestelle: i voti di giovedì pomeriggio a Palazzo Madama e della settimana precedente a Montecitorio lo confermano. A patto che altri non si sfilino dalla maggioranza. Si guarda soprattutto alla Lega, con una parte del Carroccio che preme per continuare a sostenere il governo in ogni caso (quella che fa capo al ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti, che proprio ieri ha invocato i "tempi supplementari"), mentre molti tra gli uomini più vicini a Matteo Salvini vorrebbero tornare alle urne. 

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L'ipotesi nessuna crisi

In questa prospettiva, nessuna crisi: il governo va avanti così com'è. I ministri 5stelle potrebbero lasciare, certo, e in quel caso ci sarebbe un "mini" rimpasto. È lo scenario auspicato tra gli altri sia dai centristi di Italia Viva e Azione, sia dai gruppi di Insieme per il Futuro di Luigi Di Maio. E se invece i pentastellati restassero? L'ipotesi non è campata in aria.

Del resto lo ha dichiarato anche la capogruppo in Senato Mariolina Castellone. «Non votiamo la fiducia sul decreto Aiuti perché non condividiamo né il metodo né parte del merito, ma questa nostra posizione si sottrae alla logica della fiducia al governo». E quindi, se arrivasse l'ok di Conte e del consiglio nazionale grillino, si potrebbe andare avanti anche con la stessa maggioranza. Come se nulla fosse successo, o quasi. Tutto però dipenderà da Draghi. Il premier sarebbe disponibile a ripensarci? Molti già scommettono di no. Perché - assicurano tra i suoi sostenitori - «restare dopo una presa di distanza così netta vorrebbe dire esporsi a nuovi incidenti e mettere a rischio l'azione di governo. E l'ex capo della Bce non ha nessuna intenzione di farsi logorare». 

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