Spostamenti e cenone, una vigilia di sì, no, forse: l’Italia in attesa di Conte

Spostamenti e cenone, una vigilia di sì, no, forse: l’Italia in attesa di Conte
di Mario Ajello
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Venerdì 18 Dicembre 2020, 07:23 - Ultimo aggiornamento: 10:11

Quasi stavamo, forse, per diventare normali come i cittadini, le imprese, il sistema generale degli altri Paesi dove già si sa, da tempo, quali saranno fin da subito le regole e le restrizioni del Natale all'epoca del Covid. E invece, no. S'è messa di mezzo, tra gli italiani e la loro esigenza di chiarezza (dove possono andare? Chi posso vedere? Sta chiuso il mio negozio o posso aprire?), il viaggio-passerella di Conte con Di Maio a Bengasi. Si poteva fare prima quella trasferta-spot, perché i Servizi avevano già risolto tutto, o non si poteva fare affatto perché è irrituale che premier e ministro degli esteri vadano personalmente a riprendere ostaggi italiani all'estero, e non li aspettino come è sempre accaduto all'aeroporto militare di Ciampino.

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E per di più: non s'è mai visto che un presidente del Consiglio, quello italiano, vada nel covo di un generale, in questo caso Haftar, che presiede un governo non riconosciuto dalla comunità internazionale. Ma l'ansia propagandistica supera tutto. Anche nel giorno meno adatto a giocarsi un colpo comunicativo come questo, che ieri ha lasciato interdetti se non arrabbiati milioni di cittadini italiani.
LA STRATEGIA
Niente Consiglio dei ministri, per varare le norme natalizie che tutti aspettano e di cui tutti non hanno capito nulla, perché il caso pescatori presumibilmente (ma che errore!) paga di più. E Dpcm che può aspettare fino a stasera e magari perfino oltre, perché tanto la patria s'è fatta valere Oltremare. Ma non solo. Rinvio dopo rinvio, ecco rinviato anche l'incontro di ieri mattina di Conte con Renzi, per la verifica, che sarà pure roba politichese ma può rivelarsi anche un modo per sbloccare l'attività impantanata del governo e darsi una regolata.


Insomma che bisogno c'era che il premier andasse in Libia, al posto di dare il prima possibile certezze al Paese sul Natale, dopo che il governo si sta rimangiando quelle che aveva già dato due settimane fa? Corri a Bengasi, lasciando nel vento tutti i punti interrogativi economici, sociali, familiari che riguardano il cosiddetto Paese reale ma evidentemente assai poco la politica.

E sono questioni bisognose del massimo rispetto, del tipo: ho fatto le scorte per il mio ristorante, perché mi pareva di aver capito, nei giorni scorsi, che durante le feste avrei lavorato, sia pure parzialmente.

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Ma è ancora così o non è più così? E le merci che ho comprato me le do in testa e i turni del personale che avevo preparato al negozio (o in fabbrica) varranno ancora? Oppure: vengono solo mammà e papà a cena a Natale o posso allargare anche alle zie, ma a quante? E sarà un lockdown costante o intermittente o inesistente quello in arrivo? Resta il solito coprifuoco o lo riducono o lo ampliano? Resta, per ora, che in Germania tutti sanno quello che dal 16 dicembre al 10 gennaio possono o non possono fare (tutto chiuso tranne i negozi di beni di prima necessità, riunioni di famiglia solo in 5 ma fino a 9 i giorni di Natale). E lo sanno anzitempo anche gli inglesi, i francesi e tutti gli altri.
Qui si sa poco o nulla (ed è un bel problema per le imprese a pianificare) ma almeno a Natale le videotelefonate saranno gratis perché le compagnie telefoniche hanno risposto con piacere alla richiesta del ministro Pisano. Ma per il resto la melina o la melassa sembra diventato il dolce pre-natalizio. Che si sparge su tutto: dalle regole per i giorni di festa al nocciolo dell'Intelligence su cui Conte gioca con il tempo, passando dal tema delle riforme istituzionali e della legge elettorale. Su cui perfino il pacatissimo Zingaretti, di fronte all'«avvocato del popolo» che gli dice «Nicola, ora risolviamo», sta perdendo la pazienza. E sembra questa la strategia scelta a Palazzo Chigi: sfiancare gli interlocutori per tirare avanti. Ma ieri quando gli interlocutori popolari nei bar (più o meno accalcati) guardavano sui tiggì l'eroica impresa di Conte in Libia pensavano più che altro alle proprie sorti complicate e in molti casi dolorose per l'anno che finisce e per quello che comincia. Evviva i pescatori liberati, certo: ma quando torna Conte per dirci che sorte ci toccherà?

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IL GINEPRAIO
Il Natale è diventato così lo specchio di un modus operandi di governo che troppo spesso ha nella celebrazione dello spot la sua essenza (la passerella d'oltremare vale più di quella degli Stati Generali di Villa Pamphili ma risponde più o meno alla stessa impostazione) e troppo di rado ha nella lucidità del deliberare in tempi brevi e con piglio sicuro la sua filosofia della prassi. Infatti i decreti di Natale sono stati un ginepraio da subito. Quello dei primi di dicembre doveva essere il definitivo, accompagnato dal coro ministeriale che assicurava: per le feste nessun lockdown. Dopo di che s'è cominciato a ipotizzare che in certe coppie di giorni si può fare questo e in certi terzetti di altri giorni si può fare o non fare quello ma chissà e nell'attesa infinita del nostro Dpcm l'Europa fa l'Europa e noi l'ammuina.
 

 

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