​Di Maio in Libia vede Serraj e Haftar: «L'Italia ha perso terreno, ora un inviato speciale permanente»

Di Maio in Libia, vede Serraj e Haftar
4 Minuti di Lettura
Martedì 17 Dicembre 2019, 09:38 - Ultimo aggiornamento: 20:55

Abbassare le armi e tornare a parlarsi fra tutte le anime della Libia per impedire che il paese esploda: parlarsi per trovare accordi concreti, basta con le foto opportunity, anche perché, dice Luigi Di Maio «l'Italia ha perso terreno, non possiamo negarlo, ma è il momento in cui deve riprendersi il ruolo naturale di principale interlocutore, da sempre amico del popolo libico».

Luigi Di Maio è volato a Tripoli, Bengasi e Tobruk per incontrare i principali protagonisti della crisi, a partire dal premier Fayez al Sarraj e dal suo sfidante, Khalifa Haftar: per portare un messaggio, a nome dell'Europa, che la «soluzione non può essere militare». Il ministro degli Esteri ha anche annunciato la nomina di un inviato speciale e permanente.  



«Gli incontri di oggi sono stati proficui e importanti. Con Serraj ci sentiremo o stasera o domattina per aggiornarci sull'esito di tutta la missione. E con Haftar ci vedremo nelle prossime settimane a Roma, come ci siamo detti a Bengasi».

«Vorrei lavorare a una seconda missione in Libia, magari a guida europea», con la presenza del nuovo Alto rappresentante per la politica estera Ue Josep Borrell, ha aggiunto il ministro degli Esteri a Ciampino al rientro della sua missione in Libia, aggiungendo di voler sentire per questo gli altri ministri europei. «È importante far sentire la presenza europea in Libia», ha spiegato.


La missione del ministro degli Esteri, la prima di un esponente del governo da un anno (l'ultima fu quella di Giuseppe Conte il 23 dicembre 2018), si colloca in una fase in cui la battaglia intorno alla capitale ha toccato un nuovo picco, dopo mesi di conflitto a bassa intensità. Con le milizie del generale della Cirenaica in crescente pressione per entrare in città. Di Maio ha espresso agli interlocutori libici le preoccupazioni europee per l'escalation di violenza, che si sono tradotte in una dichiarazione comune Berlino-Parigi-Roma in cui si fa appello a tutte le parti ad una cessazione duratura delle ostilità ed alla ripresa del negoziato sotto l'egida dell'Onu.

A Tripoli il titolare della Farnesina ha incontrato tutto lo stato maggiore del governo di unità nazionale, incluso il premier Sarraj. Ed ha ribadito che l'Italia «appoggia gli sforzi dell'inviato delle Nazioni Unite Ghassam Salamé per il ritorno ad un processo politico». In questa chiave, Di Maio ha chiarito quanto sia fondamentale che la conferenza di Berlino in programma a gennaio lasci il segno. Ossia, faccia comprendere a tutti gli attori regionali coinvolti nella partita libica che il loro sostegno militare alle parti in conflitto non porterà nulla di buono: un messaggio rivolto soprattutto alla Russia e alla Turchia, che stanno fornendo supporto sul terreno ad Haftar e Sarraj, come a voler spartirsi la Libia come hanno fatto in Siria.

Con Di Maio, Sarraj ha riconosciuto il tradizionale impegno italiano a sostegno del suo governo, puntualizzando tuttavia che «l'unità del territorio libico e il rafforzamento della sovranità nazionale» non possono essere messe in discussione, né da Haftar né da nessun altro. Proprio Haftar, finora, non ha mostrato nessun segno di voler deporre le armi, denunciando che Tripoli è ostaggio di «milizie e terroristi».

Di Maio lo ha raggiunto a Bengasi, nel suo quartier generale, per tentare una mediazione. Potendo contare sul fatto che l'Italia, pur appoggiando il governo basato a Tripoli, non ha mai interrotto i contatti con il generale, riconoscendone il ruolo imprescindibile per risolvere la crisi. Analogo tentativo è stato fatto a Tobruk, con Aghila Saleh, presidente di un Parlamento libico che fa da contropotere al governo di Tripoli e braccio politico di Haftar. La speranza della diplomazia italiana, e di quella europea, è quindi di riannodare i fili di un dialogo che sembrava ben avviato dopo i summit di Parigi e Palermo del 2018 e che si è invece bruscamente interrotto lo scorso aprile, quando Haftar ha lanciato la sua campagna sulla capitale.

Dialogo, sulla carta, incoraggiato anche da Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan, che in un colloquio telefonico hanno espresso il sostegno agli sforzi dell'Onu e alla conferenza di Berlino. Sul terreno, però, le notizie raccontano una realtà ben diversa. Mentre le milizie contrapposte si contendono chilometro su chilometro, a sud di Tripoli, i droni del generale martellano anche altrove, ed oggi hanno ucciso tre militari a Sirte. E dopo Misurata, che è il principale bastione di Tripoli, altre otto città dell'ovest hanno annunciato una «mobilitazione generale di tutte le loro forze per lanciare una grande operazione» contro Haftar. Pronta, e minacciosa, la replica del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, un altro peso massimo della regione al fianco del generale: il suo Paese non consentirà che in Libia si crei uno «Stato delle milizie o di formazioni estremiste e terroriste».

© RIPRODUZIONE RISERVATA