Libia e M5S, il doppio fronte caldo di Di Maio

Libia e M5S, il doppio fronte caldo di Di Maio
di Mario Ajello
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Martedì 7 Gennaio 2020, 07:35 - Ultimo aggiornamento: 08:47

Defilato per un bel po', Luigi Di Maio, se non assente, dalla grande partita sullo scacchiere mediorientale. Ma ieri di colpo, mentre il mondo è incendiato e il premier Conte si fa fotografare come l'unico commander in chief di tutti i dossier di politica estera e con il telefono in mano per parlare con la Merkel e magari anche con l'amico Donald che lo chiama Giuseppi, il capo grillino assediato da Paragone e dai morosi della rimborsopoli stellata che vogliono far saltare in aria il movimento lancia il suo manifesto pacifista. Abolire la guerra, ecco, dopo non aver abolito la povertà.

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Ma c'è poco da scherzare, naturalmente. Perché Di Maio ha la piena consapevolezza della gravità del momento e adotta per l'Italia la linea arcobaleno che rientra da sempre nell'identità grillina. «La pace prima di ogni cosa», è il monito del capo della Farnesina. Posizione fortemente pacifista, cioè, sulla crisi del Golfo Persico.

E insomma: «La guerra genera altra guerra, la violenza chiama altra violenza, la morte altra morte». Se si sentiva messo all'angolo, per il fatto che The Donald ha chiamato gli altri e non lui sul caso Soleimani, Luigi con un lungo post su Fb ha cercato di prendersi un pezzo di scena. E i toni e i contenuti del suo aboliamo la guerra significano che il ministro degli Esteri sarà contro ogni tipo di intervento - anche la concessione delle basi italiane agli americani - se le cose dovessero precipitare?

OCCASIONI MANCATE
Intanto la situazione è così brutta in Libia che la missione dei Paesi Ue, che proprio Di Maio doveva guidare oggi a Tripoli, non parte più. Doveva essere una sua (mezza) consacrazione a (improbabile) pacificatore del Paese ma niente. Sarà per un'altra volta. Ci sarà tempo, anche se forse non ci sarà affatto, per dimostrare le sue capacità in quel teatro complicato al di là del nostro mare e non è certo da oggi, e da quando sta lui al governo, che l'Italia in Libia s'è rivelata debole, incapace e subalterna ai francesi e agli altri, fin dalla guerra del 2011 contro Gheddafi.
E niente Tripoli, insomma. Dove sembrano arrivare prima i soldati mandati da Erdogan e dove la Turchia vuole prendersi il posto che l'Italia e la Ue non hanno saputo occupare, nonostante quel Paese sia strategico per tante ragioni.

Avanti invece verso Il Cairo, dove domani arriverà Di Maio dai protettori del generale Haftar. Inseguito però il capo stellato, in questa missione così internazionalmente delicata, dalle beghe contabili che i probiviri M5S e i capigruppo del movimento discutono contemporaneamente - cacciare su due piedi tutti quelli che non versano l'oblo a Casaleggio-Rousseau o trovare qualche sconto e dissimulare qualche pateracchio? - nelle riunioni stabilite. E si spera che, durante i colloqui diplomatici con gli egiziani, non squilli il telefono da Roma con domande del tipo: «Paragone ancora ci attacca. Bombardarlo o il pacifismo vale anche su di lui?». E ancora un'altra questione: non è che Di Maio si distrae con i problemi del mondo e si dimentica il patto appena siglato con Zingaretti sul proporzionale con sbarramento al 5 per cento?

FUOCO AMICO
Un momento gonfio di grattacapi, local e global, dunque per Di Maio. Che ieri è stato tutto impegnato in riunioni a getto continuo alla Farnesina e dopo Il Cairo andrà in Algeria e in Tunisia. E per fortuna c'è il blog delle stelle che è sceso in campo per dire che non è vero che Luigi sia unfit da stratega di politica estera, come sostengono i detrattori o gli invidiosi. Mentre il fido Buffagni assicura: «Di Maio inadeguato? Macché, lavora con umiltà e fa bene». Ma il fuoco amico di scissionisti e brontoloni 5 stelle rischia di distoglierlo dalla sua missione per la pace nel mondo.

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