Di Maio, la rete atlantista: un suo gruppo pro-Draghi

Di Maio, la rete atlantista: un suo gruppo pro-Draghi
di Francesco Malfetano e Emilio Pucci
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Lunedì 20 Giugno 2022, 00:54 - Ultimo aggiornamento: 11:54

Un punto fermo per il presente: dire liberamente ciò che pensa e rimarcare la dignità politica delle sue posizioni. Sia da fuori che da dentro al Movimento. E poi, soprattutto, uno sguardo rivolto al futuro. Perché sì, Luigi Di Maio ha tutta l’intenzione di guardare avanti. Di costruire un percorso che al momento non è ancora definito (la priorità resta lavorare per una soluzione diplomatica al conflitto ucraino), ma i cui contorni si stanno via via delineando attraverso un doppio binario. 
Se alla fine cacciata o addio sarà, tra gli eletti più vicini al titolare della Farnesina, già si vocifera della creazione di un nuovo gruppo in Parlamento, chiaramente orientato a sostenere il governo di Mario Draghi. Pochi dubbi sui numeri, considerati alla portata. Per farlo infatti servono almeno 20 deputati e 10 senatori. E se è vero che i conteggi di qualche dimaiano sono quantomeno da prendere con le pinze («siamo un centinaio tra Camera e Senato»), basta scorrere le dichiarazioni pubbliche a sostegno dell’ex capo politico cinquestelle per contarne a sufficienza. Quando si paleseranno tutti gli altri? Subito solo se Giuseppe Conte martedì dovesse superare la “linea rossa” durante le dichiarazioni di Draghi forzando la mano sul no all’invio di armi a Kiev. A quel punto non ci sarebbe più da ragionare, il ministro - che resterebbe tale - serrerebbe i ranghi attorno ai tanti fedelissimi (alla Camera ad esempio Sergio Battelli, Vincenzo Spadafora e Francesco D’Uva). 

Il precedente

Per anticipare le polemiche su una sua eventuale mancata dimissione dalla Farnesina, c’è anche chi rispolvera un precedente, in realtà neanche troppo lusinghiero: quello di Angelino Alfano nel 2013. Quando Silvio Berlusconi staccò la spina al governo di larghe intese di Enrico Letta per sciogliere il Popolo della Libertà e rifondare Forza Italia, Alfano decise di restare ministro portandosi alla testa degli scissionisti e fondando un suo gruppo prima e un suo partito, Ncd, poi.
Se invece anche stavolta lo scontro dovesse incancrenirsi e andare per le lunghe, Di Maio sembra avere già in mente una strategia più articolata.

Puntare ad un’area riformista che affronti le nuove esigenze del Paese mettendo un freno ai populismi. E cioè limiti l’azione dello stesso Conte che, al pari di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, è considerato espressione di una linea che non tiene conto dell’alleanza atlantica ed europeista nella quale è schierata l’Italia. «E se, invece, M5S ribadisse la linea del governo allora perché Di Maio dovrebbe essere cacciato?», l’interrogativo di un fedelissimo del ministro. 

La rete

La “fase due” del responsabile degli Esteri è fatta non solo del sostegno dei fedelissimi, ma anche di incontri, contatti informali e soprattutto da messaggi di solidarietà arrivati da membri dell’esecutivo, da esponenti di primo piano delle altre forze politiche, dal mondo della diplomazia e dell’imprenditoria. Ma anche da big e parlamentari del Movimento 5 stelle che non si sono schierati dalla sua parte né in queste settimane, né nel passato. Un’area di mezzo che non ritiene sia necessario convocare un Consiglio nazionale per discutere di diatribe interne, con le scadenze del Pnrr che si avvicinano, con una crisi internazionale in corso e con i problemi che si troverà ad affrontare il Paese. Per di più c’è - questo il refrain di chi non si è schierato tra le due tifoserie - un problema di ingratitudine, considerato che una parte del merito dell’arrivo dei pentastellati alla Camera e al Senato è da ascrivere proprio a chi ha guidato in passato M5S. E che in questi anni si è costruito una credibilità che va al di là di un posto al sole in Parlamento. 

Di Maio confida di essere sereno e di fronte alle voci di una sua espulsione rilancia allora il leitmotiv della mancanza di democrazia nel Movimento. Ma la consapevolezza è che lo strappo sia vicino: per i contiani è proprio il ministro a voler accelerare il momento della separazione, per i fedelissimi di Di Maio è questo il momento di aprire una nuova fase per far nascere un nuovo soggetto politico che sia - a prescindere dalla formulazione iniziale - un punto di riferimento dei “governisti” e dei riformisti («È necessario lavorare per un sistema partitico più maturo di quello attuale», osserva il senatore Vincenzo Presutto). Tant’è che nel vorticoso incedere delle ipotesi si fanno i nomi di Sala, di ministri di FI e perfino della Lega. Al momento però, almeno su questo fronte, non c’è nulla di realmente concreto. Poco più che abboccamenti nel grande caos in cui si sta trasformando questo inizio di campagna elettorale per il 2023.

 

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