Decreto crescita, Di Maio a Conte: «Mettici la faccia». Salvini: «Basta no o salta tutto»

Decreto crescita, Di Maio a Conte: «Mettici la faccia». Salvini: «Basta no o salta tutto»
di Alberto Gentili
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Venerdì 5 Aprile 2019, 07:26

«Di Maio e i suoi hanno preso Tria e l'hanno appeso al muro. Vedrete, farà ciò che chiedono i 5Stelle». Il pronostico, sganciato da un ministro leghista prima di entrare a palazzo Chigi, la dice lunga sulla tensione nel governo giallo-verde. La previsione dell'esponente del Carroccio però non si rivela azzeccata. E' vero, dopo due ore di apparente tranquillità, discutendo dei vari articoli del decreto crescita, Giovanni Tria è stato messo in croce sulle banche. Ma non ha alzato bandiera bianca. Anzi. E' prevalsa la sua linea: prima di varare i decreti attuativi a favore dei truffati dagli istituti di credito, il governo dovrà scrivere una nuova norma. E lo farà martedì prossimo, salvo altri rinvii. Un nuovo stop che non piace affatto alla Lega, tant'è che da Parigi Matteo Salvini ha fatto sapere: «Troppi no e troppa lentezza bloccano il Paese, serve un cambio di passo. Voglio più concretezza». E questo pressing unito a quello di Di Maio porta in nottata a far avanzare l'ipotesi che Conte possa firmare al posto di Tria i decreti attuativi. Un epilogo che sarebbe una vera e propria bomba, con il ministro del Tesoro esautorato e Lega e M5S soddisfatti in vista delle Europee.
 


Di certo al racconto dei partecipanti in Consiglio dei ministri alla fine è stato Luigi Di Maio ha ingoiare il rospo. E anche se i suoi giurano che «ha vinto la linea Di Maio», in realtà il vicepremier grillino ha dovuto accettare l'ipotesi di una nuova norma, indispensabile - come sosteneva Tria e come hanno concordato Giuseppe Conte e Giancarlo Giorgetti - per poter varare i decreti attuativi.

«Ma questa norma dovrà essere scritta dopo aver ascoltato i risparmiatori, non accetterò alcuna regola che non abbia il loro consenso», ha tuonato Di Maio, terrorizzato dall'idea di arrivare al voto europeo senza aver distribuito il miliardo e mezzo di euro stanziato per i 300 mila truffati dagli istituti di credito. Conclusione: lunedì il premier incontrerà le associazioni dei risparmiatori per chiedere lumi su come costruire le nuove norme per i rimborsi. E sembra che lo schema di lavoro sia molto simile a quello suggerito da Tria.
Nel Consiglio dei ministri più lungo (oltre tre ore) dell'era giallo-verde, assente Salvini impegnato al G7 dei ministri dell'Interno, è andato in scena il copione preparato durante la zuffa della vigilia. Tria, deciso a vendere cara la pelle, ha gettato sul tavolo le sue tesi. La prima: per evitare una procedura d'infrazione e il rischio di essere inquisito insieme ai funzionari del Mef per danno erariale, in base alle regole europee sul bail in (condivisione delle perdite da parte di azionisti e obbligazionisti subordinati) non si possono varare i decreti attuativi del Fondo di indennizzo per i risparmiatori (Fir) senza una nuova norma di legge. La seconda: la soluzione è il doppio binario per i ristori con una corsia preferenziale per i risparmiatori truffati con un Isee inferiore a 35 mila euro e un patrimonio fino a 100 mila euro e controlli arbitrali per tutti gli altri. E ha spiegato: «Non lo faccio perché non intendo procedere con i rimborsi, dico queste cose proprio perché se non si cambia la norma i risparmiatori non potranno essere rimborsati». Linea condivisa da Giorgetti: «I risparmiatori rischierebbero di dover restituire quanto percepito. E se ci impuntiamo con i no non si va da nessuna parte». Chiara la stoccata ai 5Stelle.

Di Maio però non ha voluto sentire ragioni. Già la sera prima il leader grillino aveva bocciato l'idea di una nuova norma «perché così non si assicura il pieno ristoro dei truffati». E durante la riunione del governo è rimasto sulla stessa posizione: «Non serve alcuna nuova norma» e «non serve alcun doppio binario. Si proceda al ristoro completo» di tutti i risparmiatori. «Tria firmi i decreti attuativi al più presto, perché qui rischiamo di avere la gente in strada che protesta se li obblighiamo ad arbitrati o contenziosi».
Conte, da avvocato, è finito suo malgrado dalla parte di Tria e a questo punto ha lanciato un altolà: «La campagna elettorale non deve entrare in questa sala». La reazione di Di Maio, raccontano, è stata «furiosa»: «Beh, allora questa cosa la devi risolvere tu. La faccia devi mettercela tu. Dovrai essere tu a incontrare i risparmiatori e spiegare cosa sta accadendo». Conte non si è tirato indietro: «Va bene, lunedì incontrerò le associazioni dei truffati. Con loro valuteremo come scrivere la norma». E in nottata è trapelata l'idea che possa essere lui a firmare i decreti attuativi.

LA PARTITA DEL MEF
Vietnam sui truffati delle banche a parte, Conte incassa il varo del decreto crescita, anche se con la formula salvo intese. Il premier ha fatto di tutto per evitare un nuovo rinvio. Ha pressato Di Maio che storceva il naso per le osservazioni di Tria ed era pronto a frenare. Ha convinto Salvini a dare il via libera in contumacia. E ora il premier si appresta a varare un Documento di economia e finanza gonfiato con i possibili benefici del provvedimento. Per evitare una manovra correttiva dei conti. Per rasserenare Bruxelles.
Che la situazione sia allarmante lo sa bene Giorgetti, mente economica della Lega. Il potente sottosegretario qualche ora fa, parlando del destino di Tria e del dopo elezioni europee, ha confidato: «Appena saranno chiuse le urne dovremo fare i conti con la realtà, altro che rimpasti. Questo perché la congiuntura economica non è davvero dalla nostra parte e quando si verificano situazioni di questo tipo, anche i governi più strutturati soffrono e vanno in crisi. Basta ricordarsi com'è finito nel 2011 il governo di Berlusconi, con l'arrivo del governo tecnico di Monti, figurarsi il nostro che strutturato non è». Non è mancata una stoccata al reddito di cittadinanza che Giorgetti non ha mai amato: «I soldi in Italia per spingere la crescita ci sono, ma andrebbero spesi meglio».
 

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