De Mita, Gianfranco Rotondi: «Era la Dc, moderno e con l'ossessione del confronto. Diceva "Quando un avversario ha torto aiutalo ad avere ragione"»

Il vice presidente del gruppo di Fi alla Camera ricorda che negli ultimi tempi l'ex premier si era convinto che «la politica viaggiasse ormai separata dal pensiero»

De Mita, Gianfranco Rotondi: «Era la Dc, moderno e con l'ossessione del confronto. Diceva "Quando un avversario ha torto aiutalo ad avere ragione"»
di Stefania Piras
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Giovedì 26 Maggio 2022, 09:56 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 06:59

Gianfranco Rotondi, vice presidente del gruppo di Fi alla Camera, si definisce un allievo differenziato, ma pur sempre un allievo di Ciriaco De Mita. «Moderno, pedagogico, era la Dc, un gigante con l'ossessione per il confronto come Aldo Moro. Negli ultimi tempi si era convinto che la politica viaggiasse ormai separata dal pensiero e temeva per una democrazia strattonata», racconta al Messaggero. 

Chi era De Mita per lei?

«Io lo considero il mio maestro "e contrario" come amavamo dire scherzando alla latina.

Anche se mi contrapponevo a lui nella Dc, ma quando ti contrapponi a un gigante ne devi ascoltare i discorsi. Oggi per me prevale il disorientamento personale. De Mita è stato la Dc. Un gigante, aveva la capacità di tenere conto di tutti purchè avessero delle opinioni. Io ero l'ultima ruota del carro, ma mi dava la stessa dignità di un capocorrente anche se ero un ragazzino. Per lui la politica era pensiero e l'ha detto fino all'ultimo minuto».

Quando vi siete sentiti l'ultima volta cosa vi siete detti?

«Nell'ultima telefonata che abbiamo avuto mi ha detto che il paese andava a rotoli perché la politica aveva perso il pensiero. Oggi la politica è solo prassi, si capisce che il pensiero è passato di moda. Ci siamo sentiti a lungo nel giorno del suo compleanno qualche mese fa. Parlavamo molto delle figure del passato come Fiorentino Sullo. Poi sono andato in ospedale a trovarlo quando è caduto, l'avevo trovato reattivo, battagliero, mi ero illuso che potesse superare anche questa. In ospedale gli avevano chiesto "Presidente può passare Rotondi?" Lui ha risposto: "Come no, lo conosco da che era bambino". E il dottore di rimando: "Ma mica dà fastidio? De Mita: "Noooo, il fastidio l'ha già dato"».

Cosa le mancherà?

«Io mi considero un allievo differenziato di De Mita. Quando moduli le tue riflessioni abituato a confrontarti con un gigante, se questi viene meno, in qualche modo la vita cambia. I figli non sono mai abituati a perdere i padri e questo vale per i figli, tutti, quelli veri a cui va il nostro affetto oggi, e anche quelli politici». 

Quali sono i nodi politici per lui aperti, di cui parlava più spesso?

«Lui era estremamente moderno. Non è mai diventato un vecchio patriarca e, attenzione, la retorica funebre gli dava molto fastidio. La sua ossessione era che il popolarismo fosse un pensiero vincente e invece non dominava più la scena politica; negli ultimi tempi si era convinto che la politica e il pensiero si fossero separati. E quindi, per lui era ormai irrilevante che il popolarismo fosse un pensiero vincente perché tanto la politica di oggi cammina senza pensiero».

Negli ultimi anni tornò a fare battaglie politiche come il No al referendum costituzionale

«Non passava la vecchiaia ricordando i fasti del passato, e non usava mai la storia straordinaria della Dc per avere ragione con l'interlocutore, aveva un metodo dialettico: si confrontava sulle idee, e con tutti: dal contadino dell' alta Irpinia al capocorrente della Dc».

Ci racconti una di quelle volte che ha sparigliato le carte.

«Era sorprendente, aveva una coerenza di impianto politico. Ad esempio lui riteneva che la Dc dovesse sempre avere un confine a destra e quindi dopo la fine della Dc non aveva simpatia per le nostre scelte: era convinto - e qui spesso si dicuteva - che la Dc non dovesse confondersi con la destra ma nemmeno con la sinistra con cui aveva avuto scontri e rapporti dialettici, questo era motivo di discussione politica. Ma attenzione a non operare delle riduzioni: considerare che De Mita sia solo l'uomo del dialogo con i comunisti»

Perché?

«De Mita era come Moro, era l'uomo del dialogo. Punto. Penso che sia difficile comprendere De Mita se lo si separa dalla figura di Moro. Entrambi hanno avuto l'ossessione di capire, di leggere la società, del dialogo e del confronto». 

Che presidente del consiglio è stato?

«Lo ricordo con le parole di un suo ministro che tanto lo aveva avversato, Carlo Donat Cattin disse: "È stato un grande presidente del consiglio e lo ha fatto da democristiano". Io credo che lui sia contento di essere ricordato soprattutto come un uomo di pensiero. Per lui il potere era conseguenza del pensiero». 

Quando la ha aiutata a cambiare idea?

«Devo confessare che non sempre ho cambiato idea e quindi avrei ancora bisogno di lui. Lo dico perché questa assenza cambia tante cose ora. Lui aveva chiarissimo il rischio del sistema che stiamo attraversando. Quando la democrazia la scuoti con riforme raffazzonate, quando c'è una democrazia strattonata il rischio dell'incidente autoritario può esserci. Lui era nato sotto il fascismo, aveva conosciuto la dittatura, aveva vissuto l'alba della democrazia,  e la sua vita era coincisa con la vita repubblica. C'era il lui, come tutti quelli della sua generazione, la consapevolezza che la democrazia è un bene fragile».

Diceva «Quando una cosa complessa ti appare semplice, vuol dire che non l'hai capita». Che vuol dire?

«Le rispondo con un altro suo motto: "Quando un avversario ha torto aiutalo ad avere ragione", un motto su cui sempre riflettuto e mai capito fino in fondo. Penso che significhi che non c'è un avversario, se c'è uno che sbaglia e ritieni che sbagli aiutalo, aiutalo ad arrivare alla conclusione che secondo te è giusta».

 

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