Processo penale, David Ermini: «Bene la riforma, ma le toghe devono cambiare mentalità»

Processo penale, David Ermini: «Bene la riforma, ma le toghe devono cambiare mentalità»
di Barbara Jerkov
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Domenica 11 Luglio 2021, 09:39 - Ultimo aggiornamento: 16:13

La questione morale nella e della magistratura, per l’impatto e le ricadute sull’opinione pubblica, più che questione democratica è ormai una vera emergenza democratica. Perché il crollo di fiducia che ha colpito l’ordine giudiziario e il suo organo di governo autonomo mina alle fondamenta la legittimazione democratica della stessa giurisdizione». David Ermini parla al congresso di Md. Parole chiare, davanti a una platea di toghe. Tanto che, approvando senz’altro la riforma Cartabia appena varata dal Cdm, avverte: «La premessa è una svolta culturale prima ancora che normativa».

 
Quale valutazione dà della riforma, presidente Ermini?
«Ottima sul piano del metodo. Nel merito giudicherà il Parlamento. La ministra è riuscita intelligentemente a trovare un punto di caduta per riforme condivise. Era opportuno che si arrivasse a un accordo, perché una riforma del processo penale e civile è necessaria non solo per dare un segnale all’Europa ma in primo luogo per i cittadini. L’auspicio è che in Parlamento il clima non ridiventi gladiatorio, la giustizia deve restare fuori da strumentalizzazioni o pregiudiziali ideologiche e di interesse».


L’improcedibilità dopo due anni dall’avvio dell’appello secondo i detrattori della riforma è una prescrizione di fatto. Lei cosa ne pensa?
«Mi limito a un’osservazione di principio. Se in Costituzione è sancita la ragionevole durata del processo, perché non ci concentriamo sulla celerità? Senza ovviamente limitare le garanzie. L’obiettivo deve essere quello di accorciare la durata dei processi portandoli su standard europei, se un processo dura il tempo giusto anche la risposta dello Stato sarà più giusta. Voglio aggiungere che gli interventi per la celerità dei percorsi processuali mediante la fissazione di termini da rispettare è importante siano accompagnati da misure organizzative che rendano concretamente possibile ed esigibile il rispetto dei termini».


Spicca un rafforzamento del ruolo del giudice rispetto al pubblico ministero. Una svolta opportuna?
«Posso rispondere con una domanda? Non lo prevedeva già il codice Vassalli dell’89? E’ tempo che si capisca che il dominus del processo è il giudice, il pubblico ministero svolge e dirige le indagini nell’interesse dello Stato, è chiamato a raccogliere prove a carico e a favore dell’imputato ma è comunque una parte. Forse si dovrebbe fare un ragionamento sui rapporti tra le procure e i mass media».


Il principale obiettivo è velocizzare i processi e smaltire l’arretrato-monstre del sistema giuridico italiano, anche alla luce di una richiesta cogente dell’Europa. Lo ritiene possibile, alla luce delle nuove norme?
«Aspetto di conoscerle nel dettaglio, è possibile se si rafforzano i riti alternativi. Il processo vero e proprio, ossia il dibattimento, dovrebbe essere riservato ai reati che hanno oggettivamente la necessità di un vaglio approfondito. E così nel civile si dovrebbe dare largo spazio alla mediazione e alla risoluzione alternativa delle controversie. Mi sembra sia la strada che si sta percorrendo, perché è chiaro che l’arretrato diminuisce se si riesce a ridurre il nuovo contenzioso.

 
C’è chi sostiene, penso a ciò che ha detto Flick sulla Stampa l’altro giorno e non è certo il solo, che senza un cambio di mentalità da parte degli stessi magistrati non c’è riforma in grado di scardinare il sistema. Secondo lei?
«Sono pienamente d’accordo.

Le riforme della precedente legislatura che tendevano a deflazionare il contenzioso, come ad esempio la tenuità del fatto, la messa alla prova e la depenalizzazione, devono trovare sempre più profonda applicazione. Ogni riforma per funzionare richiede la convinta applicazione da parte degli operatori, altrimenti è lettera morta. E’ questo che intendo quando dico che la premessa è una svolta culturale prima ancora che normativa».


L’ultima classifica della Commissione UE sull’efficacia della giustizia nei Ventisette ha certificato come in Italia si destini alla giustizia la stessa quota di Pil come in Germania ma i magistrati italiani sono solo la metà di quelli tedeschi. C’è un problema di efficientamento della macchina giudiziaria in termini di costi?
«C’è sicuramente un problema di numeri, sono troppo pochi i magistrati e gli amministrativi e servono interventi di edilizia giudiziaria. Forse si possono impiegare meglio le risorse, l’intervento sull’ufficio per il processo è un passo importante in questo senso: investire nella giurisdizione, perché di questo si tratta quando parliamo di giustizia, significa investire nella democrazia. L’accesso alla giustizia e l’indipendenza della magistratura sono strumentali all’esercizio dei nostri diritti e libertà».


La stessa classifica dice che l’Italia è agli ultimi posti in Ue per la fiducia delle imprese nell’autonomia del sistema giurisdizionale da governo e pressioni politiche. Un dato disastroso sulla credibilità delle toghe…
«Che la percezione possa essere quella non discuto, ma la realtà è un’altra, è che l’autonomia e l’indipendenza della nostra magistratura ci sono, sono piene e garantite dal Consiglio superiore. Non nego certamente la portata degli scandali di questi anni, ma fermarsi solo a quelli dà una rappresentazione inevitabilmente deformata della magistratura. L’immagine di una parte, comunque contenuta, di faccendieri delle nomine non può e non dovrebbe offuscare quella di una stragrande parte di magistrati che quotidianamente fanno il loro lavoro con competenza, indipendenza, imparzialità e dedizione. E’ chiaro però che il patto fiduciario con i cittadini va rinsaldato perché la mancanza di fiducia nella magistratura mina alle fondamenta la legittimazione democratica della stessa giurisdizione».


Mentre la riforma del processo ha fatto un balzo in avanti, sembra tornata nelle nebbie quella del Csm. Ma non era una priorità per far ripartire il Consiglio scevro da correntisti e vecchi vizi?
«La riforma dell’ordinamento giudiziario e della legge elettorale del Csm è sempre una priorità. Ed è urgente, anche perché poi andranno cambiati i regolamenti interni per far funzionare al meglio il prossimo Consiglio. Noi siamo una consiliatura di transizione, ci è esplosa in mano una bomba il cui innesco risale a molto tempo prima, ma che ora è un’opportunità per un cambio netto di mentalità. Va rigettato il carrierismo, che ha infettato le correnti trasformandole in oligarchie di potere e scambi immorali e non più in importanti luoghi di confronto e riflessione culturale. Noi abbiamo fatto i conti con il passato, ora il nostro compito è spianare la strada al nuovo Csm affinché la svolta sia definitiva. Se andrà in porto, potremo esserne orgogliosi».
 

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