Tempi, peso delle Camere e regali agli avversari: i dieci passi falsi di Matteo Salvini

Tempi, peso delle Camere e regali agli avversari: i dieci passi falsi di Matteo
di Mario Ajello
4 Minuti di Lettura
Sabato 17 Agosto 2019, 08:49 - Ultimo aggiornamento: 11:47
«Lei non può immaginare quanto io non sia irremovibile nelle mie idee». Se Matteo Salvini parlasse con le battute di Ennio Flaiano, potrebbe dire questo di se stesso. La girandola delle parole - dal voglio «pieni poteri» a «il mio telefono è sempre acceso» - è il corrispettivo dei passi falsi del Cosiddetto Capitano, che sono 10. E hanno portato per ora a questo: il capo leghista è senza governo e senza elezioni. Magari è tutto recuperabile, ma i 10 sbagli sono un macigno non facile da smaltire e che complica, non solo per Salvini, l’andamento della crisi. 

IL RUOLO DELLE CAMERE
Il vicepremier ha sottovalutato la funzione del Parlamento in un Repubblica parlamentare. Dove in ultima istanza tocca all’aula - e in quella del Senato il fino ad allora invincibile Matteo è stato sconfitto sul calendario - esprimersi. A riprova che non è vero che il governo opprime e sopprime il ruolo del Parlamento.

LA FORZA DEL BOSTIK
Non ha valutato fino in fondo Salvini quanto sia estrema e disperata la voglia di deputati e senatori di non andare a casa. Eppure, proprio lui ha usato l’immagine del bostik, l’altro giorno nel discorso a Palazzo Madama, e avrebbe dovuto sapere che la super-colla non si squaglia di fronte a chi con il 17 per cento dei voti (il 37 il Carroccio lo ha solo nei sondaggi) vorrebbe che l’83 per cento del Parlamento si auto-eliminasse. 

LO SBAGLIO DEL CUNCTATOR
Non ha sfruttato la disponibilità del presidente Mattarella a dare le elezioni nel momento in cui le avrebbe probabilmente ottenute. Ossia nei tempi utili a mettere a riparo la manovra economica. Non ha calcolato Salvini, nel suo temporeggiare, che ci sarebbe stato l’imbuto d’autunno. E la sovrapposizione tra legge di bilancio e urne è diventata l’arma politica di tutti gli altri per incartare Matteo che ha fatto il cunctator. 

EURO-MIOPIA
E’ mancato un esame attento, quello che forse avrebbe dovuto consigliare prudenza, sul cambiamento della fisionomia di Conte. Il quale ha saputo inserirsi nel gioco europeo, entrando nella partita sull’elezione della presidente von der Leyen, e così si è rafforzato. 

IL CALCOLO MANCATO SUI DEM
Ha creduto che il Pd fosse solo Zingaretti. E non ha calcolato che Renzi potesse infilarsi nella partita e proporsi come uno sparigliatore pericoloso. Insomma, oltre a Berlusconi che ora pretende da lui 50 posti sicuri in lista e 4 ministri se mai si farà il governo di centrodestra, Salvini ha resuscitato l’altro Matteo. Il capo leghista aveva o immaginava di avere un accordo con il segretario del Pd per votare, Renzi ha scombinato i piani e Salvini è rimasto di sasso. Prendendosi anche le critiche di Giorgia Meloni. 

L’ANTIPASTO SNOBBATO
Poteva prevedere, prima di scatenare l’affondo, che sarebbe scattato il patto tra Pd e Cinque stelle, in quanto era stato anticipato e diventato operativo tra a Strasburgo e Bruxelles con il voto congiunto per la van der Leyen. L’«inciucio» dei grillini con il progressismo e il popolarismo europeisti e con quelli che il Carroccio considera i «poteri forti della tecnocrazia» continentale è una delle ragioni che ha spinto Salvini allo spericolato strappo con Conte. Precludendosi tra l’altro la possibilità di far diventare un leghista commissario Ue. 

I REGALI NON SI FANNO
Matteo ha resuscitato i Cinque stelle (e gli ha addirittura aperto due forni: oltre a quello di via Bellerio, quello del Nazareno) e la bomba elettorale è scoppiata nelle mani di chi l’ha lanciata più che sulla testa di chi ne era il bersaglio. Ora M5S potrebbe fare quel governone o governissimo che Salvini chiama «lo sciagurato patto della mangiatoia e dell’invasione» (di clandestini). E se questo esecutivo in fieri diventasse una cosa seria e durevole, per la Lega potrebbe non bastare la retorica del Palazzo contro il popolo.

LA TRAPPOLA DEI SONDAGGI 
Guai a credere che possa bastare la spinta dei sondaggi e quella del Papeete per vincere una partita politica. E che le dirette social e il loro successo, declinante secondo i dati più recenti, possano ero sostituire la fatica dell’impegno quotidiano degli incontri e delle telefonate - anche se «il mio telefono è sempre acceso» - con gli altri leader e con tutti quegli esponenti del mondo istituzionale che, nella gestione e soluzione di una crisi di governo, conta molto di più della gente che applaude e che grida «non mollare» e «vai avanti». 

IL SOLIPSISMO
Non ha rotto subito dopo le Europee - o anche prima come gli dicevano Giorgetti e gli faceva capire il mondo produttivo del Nord e la Lega modello Zaia - quando Salvini era davvero sulla cresta dell’onda e non c’erano l’affanno della legge finanziaria incombente e neppure la vicenda dei rubli. 

LA STORIA SERVE
Matteo studiava storia all’università ma poi ha abbandonato e se l’è dimenticata. Quando Badoglio abbandonò Mussolini (quello vero), Togliatti appoggiò il suo governo. Quindi doveva immaginare Salvini che il Pd non avrebbe fatto troppo le pulci a Conte, a Di Maio, alla Trenta e a Toninelli. Anzi, no questo punto numero 10 non vale. Perché quella era politica vera in una fase tragica della storia, mentre qui sembra di stare alla sagra estiva del dilettantismo e al grottesco al potere. Anzi alla consolle.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA