Craxi, gli ultimi pensieri del leader malato nei suoi appunti: «La morte non mi fa paura»

Craxi, gli ultimi pensieri del leader malato nei suoi appunti: «La morte non mi fa paura»
di Mario Ajello
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Lunedì 6 Gennaio 2020, 00:55 - Ultimo aggiornamento: 11:37

ROMA Le ultime settimane di Bettino Craxi. Tutto il tempo prima della morte. Quello in cui il leone socialista - scomparso giusto vent'anni fa, senza che il sistema politico-giudiziario che lo aveva eliminato riuscisse a concedergli un corridoio umanitario per farlo morire in patria - era molto malato ma non era affatto arreso. Non aveva più neppure la forza di scrivere sul finire del 99, e allora dettava ai suoi collaboratori delle note sparse, degli appunti volanti, delle brevi considerazioni rimaste inedite. Foglietti che contengono i suoi ultimi pensieri, dalla poltrona o dal letto. 

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Si sentiva uno sconfitto sul campo, ma non contemplava la resa Bettino. Aveva la consapevolezza di aver perso la battaglia politica ma aveva ingaggiato una lotta contro la damnatio memoriae e questa, fino all'ultimo respiro, la stava combattendo con tutte le residue forze, anche se quelle forze non c'erano più e il destino dell'esule di Hammamet era ormai segnato. In un appunto finora sconosciuto, scriveva anzi faceva scrivere: «La malattia porta con sé il pensiero della morte, e questo ti spinge ad usare fino in fondo il tempo di cui disponi. Reazioni e stati d'animo che un tempo ti sembravano naturali e necessari, ora ti appaiono come inutili. Il pensiero della morte non mi dà angoscia, al contrario mi rende più sereno. La solitudine non mi crea grandi problemi, e del resto non me li ha mai creati. Talvolta, anzi spesso, la cerco, per vivere più libero nei miei pensieri». Sono righe da cui traspare che lo statista socialista, eliminato da Mani Pulite e dalla «codardia generale», sofferente nel fisico - il diabete e il tumore - ma ancora di più per il fatto che l'autorità politica era stata declassata a malaffare e la demagogia anti-partiti aveva avuto il suo trionfo a cui ne sarebbero seguiti tanti altri con il notevole contributo della sinistra ex comunista, aveva stabilito con la morte un rapporto dialettico, un rapporto politico.

«Cerco di non farmi sopraffare, naturalmente combatto, non è che mi accascio e dico: sto male». E questo è il contenuto di un altro foglietto. E ancora, dalla Tunisia che lo amava, guardando l'Italia che lo aveva tradito e mandato a morire da condannato politico, come se la storia potesse essere riassunta e spiegata unicamente tramite la voce dei tribunali e potesse abdicare alla sua complessità che poi è quella che fa andare avanti il mondo: «Sento la mancanza del lavoro, non del potere. Mi manca il lavoro che ero abituato a fare. Qui è tutto molto ridotto, me lo invento. Magari, facendo il pensionato in patria, avrei potuto insegnare, avrei potuto fare qualcosa che qui non posso fare, e questa per me e una sofferenza e una grande pena». 

IL VIAGGIO
Riflessioni così - ora contenute nel libro di Andrea Spiri: «L'ultimo Craxi» (in uscita per Baldini e Castoldi) - danno la dimensione umana del grande politico nel suo momento più buio. Quello in cui, rifacendosi a un aforisma di Napoleone Bonaparte, osservava: «Due soli poteri esistono al mondo, la spada e lo spirito. Alla lunga è sempre il secondo a sconfiggere la prima». E si guardava dentro il Bettino triste solitario y final, mentre il premier D'Alema trattava con i giudici inflessibili contro il «latitante Craxi», per trovare una soluzione per farlo rientrare in Italia e per farlo curare qui, in strutture adeguate ai suoi mali. Ma niente: il viaggio per Hammamet che era cominciato il 5 maggio del 94 - quando con la moglie prese il volo di sola andata - si sarebbe concluso con la morte in esilio il 19 gennaio del 2000. Ancora dalle sue carte private: «Ormai sono abbandonato al Polyclinique Taoufik di Tunisi, oltre che ad altre eminenti istituzioni sanitarie. Sono considerato un ospite d'onore. Mesi fa mi hanno salvato una gamba. Ora sono di nuovo a casa e mi dibatto tra pillole e iniezioni. Comunque non mi lamento, non piagnucolo, non protesto e non ho paura. Quando mi sento un po' in difficoltà, penso a quanti stanno assai peggio di me, il mondo ne è pieno».

Su un altro foglietto, trovato nel suo studio mentre l'epilogo stava arrivando: «L'amicizia, la riconoscenza, la gratitudine sono sentimenti diffusi, e allo stesso tempo rari. E' materia perciò in cui bisogna distinguere il grano dal loglio. Per accertarne l'esistenza e lo spessore, bisogna che questi sentimenti siano messi alla prova. Più la prova è difficile e più si farà strada la verità. Io ne so qualcosa». E si riferiva probabilmente a tutti quelli da cui si sentiva tradito. Uno sfogo dal suo crepuscolo è questo: «Il carattere tende a chiudersi in sé stesso, erge delle barrire per difendersi e per non perdere l'equilibrio. Ci si occupa di cose di cui non ci si era mai occupati prima, si ha un rapporto diverso con gli esseri umani e con la natura. Ho sempre amato i bambini e i giovani. Ora più che mai. Nel fondo non ho cambiato affatto carattere, ho cambiato la tensione e la direzione dei miei sentimenti». 

La coscienza di una sorte segnata traspare lucidamente da questi fogli. E tutto si sarebbe chiuso, da lì a poco, quando il procuratore Borrelli, incurante di tutto e sordo alle pressioni umanitarie che riceveva, diramò il suo ultimo verdetto: «Craxi può tornare ma a condizione di sottoporsi come chiunque altro all'arresto. E sarà piantonato in clinica». Prima di finire in prigione. Come se un'epopea italiana potesse essere degradata a ordinaria amministrazione.
 

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