Covid, contagi, la curva risale, nel Lazio +30% di casi, spaccatura sulle scuole

Covid, contagi, la curva risale, nel Lazio +30% di casi, spaccatura sulle scuole
di Mauro Evangelisti e Alberto Gentili
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Martedì 2 Marzo 2021, 01:14 - Ultimo aggiornamento: 15:01

I contagi corrono più veloce del previsto, in una settimana sono aumentati del 36 per cento, del 30 nel Lazio che pure è una delle Regioni che è ancora in fascia gialla. I ricoveri e i posti occupati in terapia salgono, per fortuna non allo stesso ritmo. Di fronte a questo scenario che riporta alla mente quanto successe nel marzo scorso - anche se molte cose sono cambiate da allora, ovviamente - ieri si riunita la cabina di regia sul Covid. Il premier Mario Draghi, i ministri Roberto Speranza, Stefano Bianchi, Mariastella Gelmini, Dario Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Stefano Patuanelli, Elena Bonetti hanno discusso a lungo sull’opportunità di chiudere le scuole e quali regole fissare nel nuovo Dpcm. 

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Tutti d’accordo sullo stop alle lezioni anche per materne ed elementari nelle Regioni in fascia rossa, ma le divisioni si concentrano sulle scelte nelle Regioni in fascia arancione.

Al vertice ha partecipato anche il coordinatore del Comitato tecnico scientifico, Agostino Miozzo, che ha ricordato la linea del Cts: le scuole devono chiudere anche se una Regione è arancione qualora si superino i 250 casi ogni 100 mila abitanti. Il ministro della Pubblica istruzione Bianchi, sostenuto da altri ministri, ha ribattuto: non possiamo chiudere la scuola prima di altre attività, che senso ha tenere aperti i centri commerciali o i negozi, dove i ragazzi si riuniscono e chiudere le aule, dove sono garantite misure di sicurezza contro il virus? Di fatto Giorgetti e Gelmini si sono opposti alla chiusura dei negozi, mentre Speranza, Franceschini, Patuanelli e soprattutto Bianchi hanno detto: chiudere le scuole senza fermare lo shopping non ha senso.

 


Il via libera finale al Dpcm così è slittato a questa mattina, dopo si svolgerà un confronto con i governatori. Nelle Regioni sta prendendo forza la richiesta di andare alla chiusura delle scuole, mossa che in realtà diversi governatori di entrambi gli schieramenti hanno già preso autonomamente. Luca Zaia, presidente del Veneto, lo ha detto in modo brutale: «Molte delle Regioni che oggi sono in difficoltà hanno aperto le scuole quasi un mese prima di noi. Guardiamo i dati epidemiologici: credo che la correlazione con le scuole ci sia fino in fondo. Non lo dico io, ma la letteratura scientifica». In Calabria l’unità di crisi regionale vuole sbarrare gli istituti scolastici e il presidente Nino Spirlì su Facebook ha scritto: «Non voglio aspettare che si ammalino i bambini prima di dover chiudere queste scuole».


Se resta ancora da sciogliere il nodo materne ed elementari, sono invece tutte confermate le altre parti del decreto che non portano certo a una svolta aperturista. Al contrario: confermato il sistema dei colori, respinta la proposta di riaprire i ristoranti di sera. Ricapitolando: le nuove limitazioni resteranno in vigore fino al 6 aprile, dunque anche per Pasqua, resta il divieto di spostamento tra Regioni, si conferma il meccanismo dell’”arancione scuro”, stop a parrucchieri e barbieri nelle aree rosse. 


IL PERCHÉ DELLA PRUDENZA
Ma perché c’è questa linea della prudenza? Basta guardare i numeri per avere una risposta. Ieri i nuovi casi positivi sono aumentati del 36 per cento rispetto al lunedì di sette giorni prima. I ricoveri in una settimana sono passati da 20.273 a 21.401, le terapie intensive occupate da pazienti Covid sono 2.289, 171 in più di lunedì scorso. Ancora: negli ultimi sette giorni i casi registrati sono stati 119.558, con un incremento, rispetto alla settimana precedente, del 33 per cento. Dalle Regioni ogni giorno scatta un allarme e non solo dall’Umbria e dall’Abruzzo che per prime hanno affrontato l’emergenza delle varianti. Ad esempio il Lazio, che pure è ancora giallo e ha l’indice di trasmissione sotto 1, ha un incremento settimanale di nuovi casi del 30 per cento. 


Su base nazionale c’è una lieve flessione del numero dei morti (1.953 nell’ultima settimana, 2.157 quella precedente) ma bisognerà capire se, come è sempre successo, l’incremento dei decessi arriverà con qualche settimana da ritardo rispetto a quello degli infetti, o se al contrario avere somministrato almeno la prima dose a molti ultra ottantenni e agli operatori sanitari, eviterà questo contraccolpo.

Questo è lo scenario che ieri ha fatto dire al ministro della Salute, Roberto Speranza: «Sarebbe bello dire che è tutto finito e che siamo in una fase diversa, ma la più grande responsabilità di chi rappresenta le istituzioni è dire come stanno le cose. E la verità è che le prossime settimane non saranno facili».
 

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