Regioni in ordine sparso ma riaperture vincolate a tre standard sanitari

Regioni in ordine sparso ma riaperture vincolate a tre standard sanitari
di Simone Canettieri
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Giovedì 23 Aprile 2020, 08:02 - Ultimo aggiornamento: 09:45

Il problema rischia di essere sempre lo stesso: a chi spetterà l'ultima parola? Alle Regioni o al Governo? In vista della «fase 2» l'indicazione di Palazzo Chigi è quella di partire con un piano di aperture che valga da Nord a Sud «tenendo conto però delle specificità del territorio». Significa che saranno poi i governatori, a seconda della curva dei contagi e non solo, a stabilire se sbloccare alcuni settori oppure no. Un caso già visto, in piccolo, con le librerie in Lombardia che continuano a rimanere chiuse.

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La linea di Francesco Boccia, ministro degli Affari regionali, è quella di mettere alla prova i territori: «Le riaperture saranno legate alla capacità delle strutture sanitarie». Si tratta di «informazioni importanti per bloccare eventuali focolai» che comporteranno il ritorno di nuove restrizioni. Ecco perché, spiegano dal ministero della Sanità, dal 4 maggio «sarà monitorato quotidianamente l'indice di contagio R0». Se dovesse toccare il valore di 1, scatterebbe subito l'allarme nel territorio colpito. Scelta obbligata: tornare alla zona rossa. Anche qui la stessa domanda: a chi spetterà prendere la decisione? Alla singola Regione o al Governo?

Di sicuro, sembra emergere che tra i requisiti messi sul tavolo dall'esecutivo ci saranno i parametri sanitari dei vari territori. Dalla facilità di poter disporre di mascherine passando per il potenziamento delle residenze per anziani fino alla presenza dei Covid hospital con percorsi ad hoc per la quarantena.

Non c'è ancora un indirizzo chiaro, però, sul controllo d'idoneità delle strutture: varrà l'autocertificazione dei governatori, ci saranno dei parametri imposti dal governo. «In questa fase, credo e voglio sperare, che ormai tutti i governatori si siano dotati di un piano efficiente», dice Sandra Zampa, viceministro alla Sanità.

Ma la situazione in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna è diversa rispetto a quella del resto del Paese. E di converso la Calabria, che ha strutture ospedaliere con pochissimi posti letto di terapia intensiva, è pronta sul serio? Nel caos di queste ore, il pericolo di fughe in avanti sulla pressione dei mondi imprenditoriali c'è. Ed è forte. In questo scenario, il Nord prova ad andare in ordine sparso. Giovanni Toti, governatore della Liguria, auspica «un provvedimento come quello che sta elaborando il governo tedesco, che su linee guida nazionali lascia ai Lander discrezionalità». E quindi spinge per esempio affinché la nautica riparta subito. Anche in Lombardia, epicentro della pandemia in Italia, il leghista Attilio Fontana si trova, tra più di una difficoltà, a disegnare la «fase 2». E se da una parte propone l'istituzione del Covid-manager nei mercati che riapriranno, dall'altra si vede bocciare proprio l'intero pacchetto di provvedimenti sempre in materia di sanità. Paola Pedrini, segretario della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) spiega: «Rileviamo l'assoluta inconsistenza dei contenuti del documento sulla Fase 2', di recente approvato dal Consiglio regionale della Lombardia, riguardo alle proposte di riorganizzazione del sistema sanitario, che altro non fanno che riproporre l'esistente, lasciando di fatto immutate le criticità risultate evidenti, dolorosamente, nella gestione di questa pandemia».

Ancora: il Piemonte punta sulla riapertura progressiva delle imprese, ma in contemporanea, forse già da giugno, anche alla ripartenza degli asili nido «mentre i genitori lavorano», come ha spiegato il governatore, Alberto Cirio. Può farlo? Al momento no. Perché dal Governo non è ancora emersa questa intenzione. Un braccio di ferro, continuo, che comprende mille aspetti. In Veneto, per esempio, dove Luca Zaia da tempo dice che il «lockdown è terminato», oltre alle riaperture anticipate delle imprese c'è il pressing per spiagge e parrucchieri.
 



 
 
 

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