Coronavirus, Giuseppe Conte e la sindrome di Hong Kong: così il lockdown è diventato "lungo"

Coronavirus, Giuseppe Conte e la sindrome di Hong Kong: così il lockdown è diventato "lungo"
di Alberto Gentili
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Venerdì 10 Aprile 2020, 10:22 - Ultimo aggiornamento: 12:41

C'è la sindrome di Hong Kong dietro la Grande Frenata di Giuseppe Conte. Ricordate appena martedì scorso, subito dopo la videconferenza tra mezzo governo e il Comitato tecnico scientifico? I virologi e gli scienziati per l'ennesima volta consigliarono «massimo rigore, massima prudenza, massima gradualità». Insomma, nessuna Fase 2 a breve, nessuna ripartenza: il rischio dell'epidemia è ancora troppo alto. Invece il premier fece sapere che «chi governa deve contemperare più esigenze e che, pur comprendendo che la scienza ci chiede un lockdown infinito, bisogna tenere conto della tenuta psicologica del Paese, dei rischi per l'ordine pubblico e che dunque occorre assolutamente riaccendere i motori del Paese. Con prudenza e gradualità, ma vanno riaccesi: il bene della salute va contemperato con gli altri valori in gioco, come la tutela delle libertà personali e delle iniziative economiche. Dunque predisponiamoci a un progressivo allentamento delle misure».

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Oggi, invece, Conte varerà un nuovo Dpcm che va nella direzione opposta. O quasi. Riapriranno le cartolerie per rifornire di quaderni e penne le famiglie che, chiuse in casa ormai da un mese, non riescono neppure più a far fare i compiti ai bambini. E riaprirà qualche attività collegata alle produzioni considerate essenziali come la farmaceutica e l'agroalimentare. Per il resto tutto chiuso. Sbarrato. Non con uno step di 14 giorni, com'è avvenuto finora. Ma addirittura di 3 settimane, perché ci sono i ponti del 25 aprile e del 1 maggio che fanno paura.

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Questo perché, appunto, su palazzo Chigi aleggia lo spettro di Hong Kong: la ricaduta nel tunnel dell'epidemia, come è accaduto nell'ex colonia britannica che ha deciso troppo presto di allentare il lockdown e alla fine le autorità cinesi sono state costrette a richiudere tutto.
«Ciò che è accaduto a Hong Kong», spiega una fonte di rango che ha seguito nelle ultime ore la stesura del Dpcm, «è stato a lungo analizzato e dibattuto. Il rischio è che se allentiamo la stretta ora che i dati del contagio non sono sufficientemente bassi, si possa replica in Italia ciò che è accaduto nella città cinese. In questo caso il sistema sanitario, le terapie intensive che finora hanno retto l’urto del coronavirus, potrebbero collassare. Senza contare che in caso di una recrudescenza dell’epidemia, sarebbe poi indispensabile tornare al lockdown più rigido. Insomma, si rischierebbe di tornare al punto di partenza, alla fase più dura con la quasi totalità del mondo produttivo bloccata. E proprio questo rischio va evitato a tutti i costi».
 



Non a caso ieri Conte, parlando con i governatori e con le parti sociali ha più volte ripetuto: «Dobbiamo essere molto prudenti per non vanificare tutti i sacrifici compiuti finora...». Tutti sbarrati, dunque, fino al 4 maggio in casa. Se non oltre. Anche perché nelle ultime ore su palazzo Chigi sono piovuti gli allerta del Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc): «E' troppo presto per iniziare a ridurre le misure di distanziamento». E dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms): «Non è il momento di allentare le misure, anzi bisogna triplicare gli sforzi».

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