Governo, l'ipotesi Draghi premier: ecco chi tifa e chi frena, lo scenario post-coronavirus

Governo, l'ipotesi Draghi premier: ecco chi tifa e chi frena, lo scenario post-coronavirus
di Alberto Gentili
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Giovedì 26 Marzo 2020, 13:02 - Ultimo aggiornamento: 27 Marzo, 06:36

Nel cortile della politica, la catastrofe sociale ed economica innescata dall’epidemia ha portato un nuovo elemento. Ha introdotto un dettaglio capace di generare effetti forti: le elezioni anticipate sono sparite dal menù, dal novero delle soluzioni possibili. Non si vota per il referendum sul taglio dei parlamentari, non si vota per le regionali e comunali e tantomeno si può votare adesso per eleggere un nuovo parlamento.

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Questo non possumus ha cambiato il quadro. Ora l’eventuale caduta del governo di Giuseppe Conte non comporterebbe più, per deputati e senatori, il rischio di un salto nel buio, della perdita del posto in Parlamento. E dunque in Parlamento e nei palazzi della politica si cominciano ad analizzare le alternative.

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Nelle ultime ore sono stati in tanti a spendere il nome di Mario Draghi per palazzo Chigi nel segno di un governo di ricostruzione nazionale, una volta finita l'emergenza più immediata. Prima Mario Monti: “Sarebbe eccellente a dirigere lo sforzo comune della ricostruzione del Paese”. Poi Massimo Cacciari: “Sarebbe l'uomo più adatto”. E perfino il diretto interessato si è fatto sentire con una intervista al Financial Times dai toni gravi: “Stiamo affrontando una guerra e in passato le guerre sono state affrontate aumentando il debito pubblico”. Un chiaro segnale nella direzione degli eurobond e di un eventuale accesso al Fondo salva stati senza condizionalità. E chi meglio di Draghi, per sette anni presidente apprezzato della Banca centrale europea, potrebbe riuscire nell'impresa di strappare questi strumenti di salvataggio a Berlino e alle cancellerie del Nord Europa?
 



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Il nome di Draghi non precipita a caso, dunque. E' apprezzato da Sergio Mattarella. Ha una caratura bipartisan, in una fase in cui il virus stempera le differenze politiche e tremano i polsi a chiunque di fronte al compito di rimettere in piedi il Paese. E poi Draghi non è un competitor di alcun leader, non può soffiare il posto a nessuno. Non è interessato. Il suo naturale destino sembra essere il Quirinale. Dunque potrebbe dar vita al governo della ricostruzione per poi approdare nel 2022 sul Colle.

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I primi, a sorpresa, a iscriversi al partito di Draghi sono stati Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti che, dopo la mattana di agosto, lo evocano come potenziale salvatore della Patria. Lo scopo è chiaro: il governo di tutti serve al capo della Lega per disfarsi dell'odiato Conte, tornare in gioco e non restare fino al 2023 alla finestra. Sulla stessa linea Matteo Renzi, impegnato da mesi a sabotare Conte che individua come suo competitor nell'elettorato moderato. E perfino Luigi Di Maio che ha una gran voglia di strappare i 5Stelle all'abbraccio del Pd e silurare chi ritiene l'abbia tradito.

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E se il sì di Silvio Berlusconi è garantito, lo stesso non si può dire di quello di Giorgia Meloni. Ma senza la carta delle elezioni da poter giocare, la sua minaccia di disimpegno è meno graffiante. Dice Fabio Rampelli, capogruppo di Fdi a Montecitorio: “Draghi non lo sosterremo mai, ma lo stimiamo e ne riconosciamo lo spessore. Collaboriamo e collaboreremo per la ricostruzione senza avere posti di governo”.
 
 

L'ipotesi di un governo di ricostruzione non piace invece al Pd a i 5Stelle fedeli al verbo di Beppe Grillo. Con Conte, il partito di Nicola Zingaretti ora è centrale, con Draghi “invece diventeremo come gli altri partiti”, dice un esponente dem. In più, il premier è l’alleato da pompare e sostenere davanti all'opinione pubblica per dare forza al fronte progressista immaginato dal segretario e da Dario Franceschini.

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Conte ha fiutato il pericolo. Impressionato forse dall’elevato standing del potenziale competitor, si è messo sulla difensiva. Alla Camera ieri si è mostrato impaurito. Anziché assecondare l’appello e gli sforzi di Mattarella per la collaborazione nazionale in un momento di gravissima emergenza (è di tre giorni fa il garbato invito a incontrare Salvini, Meloni e Berlusconi), Conte a Montecitorio ha fatto un discorso sulla difensiva e senza mai nominare in 50 minuti l’opposizione. Pronunciando la parola unità solo in un inciso.

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Troppo perfino per il Pd che non vuole governissimi ma neppure lottare contro l’epidemia e poi immaginare la ricostruzione sotto l’artiglieria di Salvini e Meloni. Non a caso il vicesegretario dem Andrea Orlando subito dopo si è fatto sentire: “Il confronto unitario è un'esigenza assoluta”. E deve essersi fatto sentire anche il Quirinale se oggi, in Senato, Conte si è mostrato molto più aperto, parlando di “percorso condiviso” e di i”confronto più intenso con l'opposizione” per affrontare l'emergenza. Il problema di Salvini, Renzi, di Maio, Berlusconi e del vasto partito del governo di ricostruzione è l’alta popolarità di Conte. Ma se la situazione dovesse peggiorare, il picco ritardasse ancora ad arrivare o per Conte ci fossero altri inciampi di comunicazione, tutto potrebbe cambiare. In fondo anche la sorte di Conte è legata all’andamento dell’epidemia.

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