Giuseppe Conte, governo a trazione ridotta: fiducia con 156 sì. Ora obiettivo centristi

Senato, ok alla fiducia con 156 voti. Sì di Nencini (Iv), due defezioni in Fi
di Alberto Gentili
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Martedì 19 Gennaio 2021, 09:27 - Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio, 12:40

«Il governo ottiene la fiducia anche al Senato. Ora l’obiettivo è rendere ancora più solida questa maggioranza». Alle undici di sera, quando il pallottoliere di palazzo Madama assegna al governo una maggioranza relativa di 156 voti, Giuseppe Conte festeggia solo a metà. Certo, il «governo è salvo», ma è già costretto a riprendere il lavoro per quel «percorso di rafforzamento dell’esecutivo» preteso dal Pd e suggerito dal Quirinale. «Perché con pochi voti di scarto e senza una maggioranza assoluta non si governa, il voto di questa sera è solo un punto di partenza», riconosce il premier. E il Pd: «L’obiettivo è rendere più solida la maggioranza». Tant’è che poco prima di mezzanotte, Conte convoca per oggi un vertice tra i leader rosso-gialli.

Iv tiene in ostaggio il governo

Anche se insoddisfacente, abbastanza lontano dalla maggioranza assoluta di 161 voti (Italia Viva si è astenuta), il risultato di palazzo Madama è stato sudato. Decisamente sudato. Il premier ha dedicato l’intera giornata a lanciare appelli. E, al pari del sottosegretario Riccardo Fraccaro e del dem Goffredo Bettini, ad arruolare «volenterosi». Il “bottino” scarso: i forzisti Andrea Causin e Maria Rosaria Rossi e, ripescati in modo rocambolesco, il socialista Riccardo Nencini (stava con Renzi) e l’ex M5S Lelio Ciampolillo. Un vero e proprio caso: la presidente Elisabetta Casellati aveva dichiarato chiusa la votazione, i questori (dopo aver visionati i filmati stile Var) l’hanno fatta riaprire. E al governo sono arrivati 2 voti in più. Un altro arriverà dal renziano Eugenio Comincini alla prima occasione: «Io non passo all’opposizione», annuncia dopo l’astensione, portando il pallottoliere a quota 157.
 

Conte: senza numeri governo a casa

Conte ha usato come arma di persuasione per rastrellare «volenterosi» anche la minaccia delle elezioni anticipate: «Sotto una certa soglia di voti, il premier si dimetterà e a quel punto nessuno potrà escludere le urne», hanno fatto filtrare i suoi. E in Aula, nella replica, il premier ha gridato: «Certo, c’è un problema di numeri! E se non ci sono, il governo va a casa...».
Passata la Grande Paura, ma con lo choc dell’allargamento mancato da superare, «si lavorerà a rafforzare il governo», spiega Bettini che è il pontiere tra Palazzo Chigi e il Nazareno, «lo faremo con i tempi necessari».

Tutto gennaio. Forse anche metà febbraio. «Da questo voto si avvia un percorso», aggiunge Bettini, «parte un processo politico per costruire la terza gamba della coalizione, quella liberal-moderata-europeista. Se diventerà robusta, si andrà avanti e si farà il patto di legislatura e il nuovo governo: il Conte-ter. Se invece si rivelasse fragile, varato il Recovery Plan, superata l’emergenza della pandemia, garantiti gli ammortizzatori sociali dopo il blocco dei licenziamenti, si andrà alle elezioni». Presumibilmente tra maggio e giugno.
 


Conte condivide questa road map. Tant’è, che ha messo in un cassetto la delega all’Agricoltura da affidare, assieme al ministero della Famiglia e a un paio di posti da sottosegretario, a chi verrà indicato dal (per ora ipotetico) gruppo dei «volenterosi» dove si spera entrerà qualche altro renziano e qualche altro forzista o ex M5S. Il timore del premier però è quello di restare nella palude (le Commissioni parlamentari rischiano l’ingovernabilità) e di veder accrescere la sua debolezza. Per questo ha cercato a cercherà «senza sosta» altre adesioni alla “terza gamba” della coalizione. Lo farà spingendo (come chiede da mesi il Pd) anche per una legge elettorale proporzionale. «Bisogna riconoscere a tutti la rappresentanza», ha scandito in Senato. Quasi a voler puntare su una soglia di sbarramento molto bassa. Cosa che non ha fatto felice Nicola Zingaretti.
 

 

 

L’altro timore del premier è uscire ridimensionato da questa partita. Così tra i suoi c’è chi si dice contrario all’ipotesi del Conte-ter. Perché vorrebbero dire dimissioni, consultazioni del capo dello Stato e reincarico. «Un percorso», sostiene un senatore vicino a Conte, «da cui Giuseppe potrebbe non uscirne affatto o uscirne decisamente indebolito se, com’è prevedibile, i dem vorranno affiancarlo con uno o due vicepremier, un nuovo sottosegretario alla Presidenza targato Pd». 
 

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Resta, insomma, in Conte la «paura di salire al Quirinale», come ha fotografato Renzi nel suo discorso. Ma Bettini prova a tranquillizzare il capo del governo: «Il Conte-ter si farà, se poi serviranno le dimissioni lo deciderà Mattarella». Della serie: si potrebbe fare un “rimpastone” senza dimissioni. Ipotesi improbabile, anche perché senza dimissioni è praticamente impossibile cambiare i ministri.


In tutto questo il premier è allarmato per la situazione dei 5Stelle, il suo vero scudo. Sono ancora senza un leader e Conte non esclude il rischio-implosione. «Fare un rimpasto è difficilissimo, figuriamoci un nuovo governo», dice un ministro grillino, «il Movimento rischia di diventare una maionese impazzita». 
Rischia?

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