Conte, oggi le dimissioni: salirà al Quirinale, poi al lavoro per governo ter. Cominciata la caccia ai responsabili

Conte, oggi le dimissioni: salirà al Quirinale, poi al lavoro per il ter. Cominciata la caccia ai responsabili
di Alberto Gentili
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Martedì 26 Gennaio 2021, 00:20 - Ultimo aggiornamento: 09:14

Il Conte-bis finisce oggi alle nove in punto. Da quel momento, dopo aver comunicato in Consiglio dei ministri la decisione di dimettersi prima di salire al Quirinale, l’avvocato si lancerà nella costruzione del suo terzo governo. Quel famoso Conte-ter, contro cui il presidente del Consiglio ha lottato con le unghie e con i denti, temendo di non riuscire più a rientrare a palazzo Chigi. «Se mi dimetto, chi mi garantirà di non essere vittima di agguati?», si chiedeva ancora ieri mattina. E in serata, dopo aver posticipato a oggi le dimissioni, ha confidato: «Qui rischio di restarci secco...».


Il premier, insomma, subisce una crisi al buio. La resa è avvenuta per tre ragioni. La prima: senza l’azzeramento dell’attuale governo, l’arruolamento degli ormai famosi e (per ora) latitanti “volenterosi” si era rivelato un fallimento. La scorsa settimana, nonostante l’opera di proselitismo di Conte e di Bruno Tabacci, l’asticella del Senato si era fermata a 156 voti. Troppo pochi per andare avanti. Adesso la speranza del presidente del Consiglio è che le sue dimissioni e la prospettiva «nero su bianco» di un esecutivo nuovo di zecca, possa spingere un consistente drappello di senatori a farsi avanti creando un gruppo autonomo. E con la forza di questi numeri - «i voti di Renzi, se mai vorrà aderire, dovranno essere aggiuntivi», continua a ripetere Conte però con toni meno duri verso l’ex rottamatore - ottenere un nuovo incarico da Sergio Mattarella. In ogni caso, nell’incertezza, perfino Conte non chiude del tutto a Italia Viva: «E’ tutto nelle mani di Mattarella», filtra sera da palazzo Chigi.

La seconda ragione della resa: domani (o al massimo giovedì) era in programma il voto in Senato sulla relazione del Guardasigilli Alfonso Bonafede.

E, come aveva fatto capire chiaramente Luigi Di Maio, un’eventuale (e probabile) bocciatura del responsabile grillino alla Giustizia avrebbe decretato la fine dell’esecutivo aprendo una crisi al buio. Per di più, con il premier ulteriormente indebolito e perciò ancora meno “attrattivo” verso i potenziali «volenterosi». Le dimissioni invece cancellano questo rischio: Bonafede, con il governo ormai caduto, non farà alcuna relazione.

La terza ragione delle dimissioni di Conte è stato il pressing incessante del Pd e dei 5Stelle. Da settimane i due partiti hanno messo sotto assedio il premier per convincerlo che era necessaria l’apertura «di una nuova fase», con la nascita di «un nuovo governo». Molto di più, insomma, del rimpasto cui ormai si era rassegnato l’avvocato. Obiettivo dichiarato di Pd e grillini: permettere a Conte di restare in sella «allargando la maggioranza». Quello sottinteso: ridimensionare il premier (forse con un vice e un nuovo sottosegretario dem a palazzo Chigi) e spingerlo a garantire «maggiore collegialità e rapidità d’azione» su tutti i dossier.
Ebbene, ottenuto lo scalpo del Conte-bis, gli alleati sono corsi a rassicurare (su richiesta del premier) che sarà l’avvocato e soltanto l’avvocato a guidare il nuovo governo. Ecco i 5Stelle: «Il passaggio per il Conte-ter è ormai inevitabile ed è un passaggio necessario all’allargamento della maggioranza». Ecco Roberto Speranza di Leu: «Conte è la persona giusta per guidare il Paese. Sono al suo fianco». Ed ecco il Pd con Nicola Zingaretti: «Siamo con Conte per un nuovo governo sostenuto da una base parlamentare ampia». 

Non è un caso che tutti battano sul nodo dell’ampliamento della maggioranza. L’obiettivo comune, a dispetto dei tentativi di Renzi di rientrare in partita e di qualche ripensamento del Pd, è di tenere Italia Viva ai margini: se vorrà, tornerà in maggioranza, ma non dovrà essere determinante. Da vedere se tra oggi e domani sboccerà in Senato il nuovo gruppo parlamentare che permetterebbe a Conte di riuscire nell’impresa. Se l’operazione dovesse fallire, anche il Conte-ter avrà alte probabilità di evaporare. «In questo caso però ci saranno solo le elezioni», dice chi ha parlato con il premier, che in questo modo cerca di persuadere i potenziali volenterosi.

Il tempo stringe. Paolo Gentiloni, commissario europeo all’economia, avverte: «In Italia siamo nei guai, nel pieno di una crisi che non aiuta le cose avremmo bisogno di un governo capace di garantire che la crisi non diventi crisi sociale, che non ci sia crisi finanziaria, che sappia assicurare la qualità del piano di Recovery e confermi la scelta europeista, e invece siamo nell’incertezza». 
 

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