A Mario Draghi scricchiola quel pilastro della maggioranza che Giuseppe Conte ha provato a consegnargli una settimana fa parlando in piazza Colonna. Se si esclude Italia Viva, Pd, M5S e Leu - seppur per motivi diversi - continuano ad avere forti riserve su quell'esecutivo di salvezza nazionale che il premier incaricato sta cercando di comporre a seguito dell'appello di Sergio Mattarella.
LA SFINGE
Si conclude il secondo giro di consultazioni ma i partiti ne sanno quanto prima e non a tutti va bene. Mario Draghi parla, illustra a grandi linee il programma, ma sul perimetro che avrà la sua maggioranza, e sulla natura dell'esecutivo, non muove un sopracciglio. Il resto lo fa la mascherina dalla quale non filtra una parola anche quando Silvio Berlusconi - nel corso dell'incontro della delegazione FI con Draghi - si dice pronto a fornire al presidente incaricato «persone di alto profilo».
Nell'entusiasmo del Cavaliere - che si assegna il merito di aver convinto la Lega - si coglie la consapevolezza che l'ex banchiere centrale preferisca spingere su profili tecnici.
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Nella numerosa pattuglia parlamentare grillina la tensione è altissima e sembra dar ragione a chi tra i dem ritiene che «una maggioranza così ampia ha bisogno della politica per reggere». All'uscita dall'incontro con il premier incaricato - e in perfetta sintonia con il reggente 5S Vito Crimi - il segretario del Pd Nicola Zingaretti torna a riproporre il nodo del «perimetro della maggioranza» legandolo di fatto al tipo di presenza che il Pd potrebbe avere nel governo. Torna, quindi, l'ipotesi secondo la quale non ci saranno ministri dem accanto a quelli della Lega. Anche se non tutti sono sulla linea del segretario, è chiaro che al Nazareno non hanno ancora metabolizzato il cambio di strategia di Salvini. L'ingresso in maggioranza della Lega spacca anche Leu che è in attesa di sapere se Speranza verrà confermato ministro. I tre partiti (M5S, Pd e Leu) che dovrebbero comporre la nuova alleanza riformista, complicano la strada a Draghi mentre il leader del Carroccio si diverte a spingere sul pedale dell'europeismo, proponendosi personalmente nel ruolo di ministro.
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Una guerra di nervi, alla quale si aggiunge Giorgia Meloni che attacca Salvini per aver ceduto sulla flat tax, che non aiuta i partiti a convincere Draghi della necessità di piazzare qualche esponente di peso nell'esecutivo. Il modello a cui fanno riferimento i partiti è quello adottato da Azeglio Ciampi nel comporre l'esecutivo del 93 che si avvalse di esponenti politici allora non tutti di primissima linea, competenti nelle rispettive deleghe, e di una serie di tecnici.
Chiusa con oggi la fase delle consultazioni, è probabile che Draghi possa sciogliere le riserva presentandosi al Quirinale domani o al massimo venerdì e in quella sede definire con Sergio Mattarella anche la squadra di governo in modo da procedere al giuramento e al passaggio di consegne con Giuseppe Conte. Anche se ai leader non dispiacerebbe, la loro presenza al governo sembra da escludere. Così come invece sembra sempre più concreta la presenza di tecnici nei ministeri chiave. Al ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio potrebbe andare Antonio Catricalà. In picchiata le quotazioni degli uomini di Bankitalia e quindi all'Economia torna a circolare il nome di Dario Scannapieco (Bei) o di Carlo Cottarelli, mentre allo Sviluppo economico potrebbe andare Franco Bernabè o Marcella Panucci. Enrico Giovannini è quotato per il ministero del Lavoro e il professor Rocco Bellantone potrebbe essere il prossimo ministro della Sanità.
Restano in panchina i tre candidati forti del Pd, Franceschini, Guerini e Orlando, che potrebbero però trovare posto - magari solo due - insieme a Bellanova, Di Maio e Patuanelli, qualora il premier optasse per un mix (12 tecnici e 8 politici). Il resto verrebbe completato da due esponenti della Lega (probabili Giorgetti e Molinari) e da uno di FI (Tajani). Se invece prevarrà la linea dei soli tecnici, ai partiti toccherà accontentarsi dei posti da viceministro e sottosegretari.
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