Fake news, politica ai ripari: M5S pensa a un suo social

Fake news, politica ai ripari: M5S pensa a un suo social
di Simone Canettieri
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Venerdì 1 Novembre 2019, 00:35 - Ultimo aggiornamento: 00:40

La stretta di Twitter - stop agli spot politici a pagamento - è una svolta «etica», con riflessi economici, che però rimbalza in Italia senza particolari scossoni. E non solo perché Facebook continua a rimanere dall’altra parte del fiume sui contenuti politici a pagamento. Le frontiere sono altre, tante e forse troppe per veicolare il messaggio dei leader, ma soprattutto per costruire e arricchire granai di dati. E non solo per il boom di Instagram, ma anche per il vettore di WhatsApp. Regole e strette: questi rimangono i temi di fondo. Filippo Sensi, deputato del Pd ed ex portavoce dei premier Renzi e Gentiloni, già da giornalista si distinse per la sua vivacità su Twitter: «Mi domando: e perché limitarsi allora agli annunci politici? Se il punto sono gli effetti che possono avere i falsi e le manipolazioni sulle coscienze delle persone perché fermarsi al perimetro politico-elettorale? E perché fermarsi ai partiti e movimenti politici?». Sensi trova «la scelta di Twitter azzeccata dal punto di vista del marketing, viste le difficoltà su questo terreno di Facebook, ma penso che sia sbagliata su quello dell’efficacia e degli interrogativi che solleva sul fronte della responsabilità e della libertà di espressione». 

E da qui alla (contestata) proposta del deputato di Italia Viva Luigi Marattin di una legge che obblighi chiunque apra un profilo social a utilizzare un documento d’identità il passo è breve. Un’idea che non piace al Pd dove comunque si piantano due paletti molto solidi: fermare le fake news e soprattutto l’odio in rete. Il vero problema, spiega dal Nazareno chi si occupa delle strategie social, è il secondo. In quanto le false notizie rimangono un problema, ma minore rispetto all’incitamento al male che si respira su certi profili e pagine. Ecco perché il Pd spinge per un disegno di legge che possa regolamentare il settore senza «andare allo scontro con le multinazionali delle piattaforme», ma dialogando con loro. Con un modello da seguire: quello tedesco che prevede come autonomatismo la denuncia automatica da parte dei social network di chi predica odio in rete. Un dibattito complesso, ammettono dal Pd, che «non si può trattare per decreto». 

Non solo per il “peso” politico-economico degli interlocutori, ma anche per la variegata presenza di forze che sul tema continuano ad avere opinioni più che discordanti. Alla fine tanto si va a finire, nei discorsi degli addetti ai lavori, sempre lì: a chi ha capitalizzato sui social (con un mix di territori e tv) il consenso politico. Si parla della “Bestia”, la discussa macchina del consenso 2.0 di Matteo Salvini: una fabbrica di foto del Capitano h24, di messaggi forti e urlati, ma anche di controinformazione, spesso e volentieri usata ad arte per polarizzare i discorsi in rete su altro. Il filosofo-informatico Luca Morisi non spiega il segreto del suo successo, e preferisce tenersi le accuse e i veleni di chi attacca la sua creatura (a partire dall’uso dei bot) ma di sicuro è riuscito a spingere su un modello nuovo, nato con il M5S e poi seguito dai grillini. Solo che adesso - complice la crisi d’identità del M5S - anche il messaggio 2.0 degli uomini di Di Maio, appare basculante e confuso. Per un partito nato sulla rete, come quello di Beppe Grillo, uscirne per aprire una nuova fase appare comunque come la vera sfida. E se la Casaleggio associati pensa a un social network proprio da far nascere su Rousseau per mettere in contatto gli iscritti, «i messaggi che partono dai vertici sono complicati da far passare affinché sfondino come una volta». In generale, disponendo di un ministro in quota pentastellata come Paola Pisano all’Innovazione, gli occhi della politica sono rivolti proprio alle mosse dei grillini, o meglio le contromosse. In questa deregulation, dove basta un selfie per diventare il titolo di un’agenzia di stampa o di un telegiornale c’è anche chi come Leu non teme la svolta di Twitter: «Sarà per un problema di cassa - scherza ma non troppo lo spin doctor Paolo Fedeli - ma se vengono meno le sponsorizzazioni forse è meglio. Almeno si vedrà chi è più efficace nel messaggio, senza aiutini».
 

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