Fuga da M5S, le cene della Lega con gli scontenti anti-governo

Fuga da M5S, le cene della Lega con gli scontenti anti-governo
di Mario Ajello
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Domenica 6 Ottobre 2019, 10:04 - Ultimo aggiornamento: 17:59

«Più che altro, facciamo cene». Ma non si mangia in silenzio, tra Varese e Como, negli incontri a tavola che in terre leghiste ex ministri, ex sottosegretari e dirigenti del Carroccio nell’ultima settimana hanno avuto con svariati parlamentari 5 stelle, delusi dal patto con il Pd e vogliosi di mollare gli ormeggi di un movimento in pieno caos. «Ci rimpiangono. Ah, quanto lavoravamo bene con voi... Così ci dicono e hanno ragione. Specie nelle commissioni finanziarie ed economiche s’era creata una certa sintonia tra noi e loro in chiave anti-Pd, sulle banche per esempio. E ora vogliono tornare a mangiare la pasta e fagioli con noi, perché ai dem non li sopportano». Così racconta uno dei fedelissimi di Salvini, che dà ascolto alle tentazioni di fuga dei colleghi stellati. Assai utili per preparare, contro Conte e Di Maio, il ribaltone del ribaltone. Va anche il senatore siciliano Giarrusso, uno dei più spietati contro la governance di Di Maio, alle cene a Varese? Lui no, ma è di quelli che a Palazzo Madama ha ottimi rapporti con i colleghi del Carroccio, e dice: «Condivido lo spirito di quelli che tra di noi hanno scritto la Carta di Firenze, e insomma bisogna cambiare tutto nel movimento»: sia lo strapotere di Casaleggio sia il comando di Maio. 

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L’operazione “adotta un grillino” non è rivolta solo malpancisti stellati del Nord ma anche agli altri. Salvini ha dato il via libera a questo reclutamento. E se al Senato riesce, sono guai per il governo a corto di numeri. La lista dei membri M5S nelle commissioni parlamentari di tipo economico viene esaminata nome per nome dai leghisti, come un tempo faceva Berlusconi aiutato da Verdini e si dice che proprio Denis (ormai mezzo parente di Matteo, tramite la figlia Francesca) abbia dato qualche dritta su come si fanno queste operazioni di scouting. Lavorare sui meno famosi, è la prima regola. 

Nella lista degli attenzionati ci sono svariati nomi e, come contromossa, lo stesso lavoro di verifica (quello può andare via? quell’altro come si può trattenere?) è in corso a parte dei vertici M5S. Che però sminuiscono: «Il malessere c’è ma nessuno si muoverà». Per ora, forse. Ma uno come Gianluigi Paragone - ex leghista - sembra sulla via del ritorno a casa. E dopo che il 9 ottobre verrà scelto il capogruppo M5S in Senato, alcuni degli sconfitti potrebbero non restare fermi a leccarsi le ferite. 

Una gara molto combattuta tra gli aspiranti capogruppo. Vincerà Toninelli? Perilli? Il foggiano Marco Pellegrini? L’avvocato sassarese Ettore Licheri? Il senatore umbro Lucidi, criticissimo sul patto elettorale con i dem nella sua regione? 

Nella commissione Bilancio della Camera, presieduta dal leghista no euro Borghi, un nome attenzionato dal Carroccio sarebbe, secondo le indiscrezioni, quello di Marco Sodano, il grillino che è stato visto in piazza fuori da Montecitorio, nella manifestazione di Salvini e Meloni contro la nascita del Conte bis, ma si è giustificato «Sono qui solo per curiosità». 

Nella commissione Finanze di Montecitorio, viene cerchiato (magari solo come speranza ma i leghisti ci sperano assai) il nome Alvise Maniero: stellato del Veneto, uno di quelli che su Rousseau ha votato No all’accordo M5S-Pd («Questo abbraccio non ci farà bene») e non ha mai condiviso la linea anti-autonomie del Nord della ministra Lezzi nel passato governo. Raphael Raduzzi, altro veneto: e chissà se darà soddisfazioni ai salvinisti. Il Senato è luogo ancora più cruciale e la fisionomia più abbordabile è quella degli eletti nei collegi uninominali, spesso figure che con il grillismo hanno avuto poco o niente a che fare nella loro vita precedente. Eccone uno: Tiziano Fenu, sardo e trasversale, apprezzatissimo nella Lega con cui ha lavorato per esempio nel disegno di legge in favore dei commercialisti (categoria a cui appartiene). 

O ancora: Tiziana Draga: è la senatrice, cattolica e madre di 4 figli, che a sorpresa andò sul palco del Convegno di Verona sulla famiglia, allestito dai leghisti hard, e se n’è infischiata del proclama di Di Maio («Nessuno dei nostri andrà») e anche delle maledizioni sui social grillini: «Dimettiti!». Solo questi? Questi e altri. Il sogno di Salvini è arrivare a scipparne 20 a Conte e a Di Maio. Per dimostrare che «la loro è stata solo una vittoria di Pirro». Ma bisognerà vedere se le cene e le scene di caccia leghista saranno - anche al di là dei nomi possibili o supposti - saranno davvero soddisfacenti.
 

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