Casellati: «Recovery Fund, il premier sappia che l’ultima parola spetta alle Camere»

Casellati: «Recovery Fund, il premier sappia che l ultima parola spetta alle Camere»
di Fabrizio Nicotra
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Domenica 26 Luglio 2020, 02:04 - Ultimo aggiornamento: 14:40

Presidente Casellati, il piano degli aiuti dall’Europa è arrivato. È un successo dell’Italia? È l’inizio di una nuova Unione Europea?
«Ho più volte incalzato la Merkel ad intraprendere, con la sensibilità di una donna, un percorso di solidarietà nell’Unione europea. Ciò è accaduto. Ed è una buona notizia per l’Italia. Adesso bisogna essere attenti all’ondata di ritorno delle aspettative, che può essere fortissima. L’accordo sul Piano per la ripresa è solo il primo tempo della partita. Ora la palla ce l’ha l’Italia che deve essere all’altezza. Bisogna presentare un programma di riforme concreto e credibile che al momento non c’è. Un programma che porti sviluppo, occupazione e crescita del Pil».
 

Recovery Fund

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C’è chi chiede il ritorno in campo di un pool di esperti per varare il piano di riforme? 
«Non sono d’accordo. Gli esperti, che oggi sono già 500, hanno ovviamente una importante funzione di consulenza, ma è il Parlamento il primo, unico e insostituibile interlocutore del governo. È il Parlamento che, nella dialettica costruttiva tra maggioranza e opposizione, deve essere il protagonista di ogni tappa del processo decisionale nel piano delle riforme. Spetta solo alla politica la responsabilità di ricostruire il Paese».

Cosa pensa dell’istituzione di una Commissione bicamerale sull’utilizzo dei fondi del Recovery Fund. Non si rischiano tempi troppo lunghi? «Il Parlamento, qualunque sia la forma che si voglia adottare, deve essere decisivo nella destinazione delle risorse. Il presidente Conte parla di atto di indirizzo, che non può essere parola senza conseguenze, ma strumento vincolante per le decisioni che prenderà il governo. Il tempo è un fattore decisivo per la sopravvivenza delle attività produttive e delle troppe famiglie senza reddito. Bisogna fare presto».

Il governo verrà in aula a comunicare la proroga dello stato di emergenza sul quale lei era già intervenuta. Che cosa ne pensa?
«Finalmente l’esecutivo ascolterà il parere del Parlamento sulla proroga dello stato di emergenza, dichiarato invece in piena solitudine il 30 e 31 gennaio scorso. Mi chiedo però come si concili la proroga con una situazione epidemiologica sotto controllo, con ospedali ormai quasi liberi dal Covid. Non vorrei che questo sfruttasse la paura dei cittadini per allontanare il ritorno alla normalità».

Lei ha detto che i parlamentari sono “gli invisibili della Costituzione” e criticato più volte il governo per l’uso massiccio di Dpcm nella gestione dell’emergenza. La democrazia parlamentare è irrimediabilmente trasformata? 
«Purtroppo sì. Il Parlamento è diventato invisibile perché è stato svuotato della funzione legislativa attribuita dalla Costituzione. Dall’inizio di questa legislatura il governo procede a suon di decreti legge, il più delle volte approvati con voti di fiducia e sempre più frequentemente esaminati solo da una Camera. Le faccio un esempio. Sul decreto rilancio, che è una vera e propria manovra finanziaria di circa 300 articoli, il Senato non ha “toccato palla”. La situazione è poi peggiorata durante il Covid con l’uso esagerato dei Dpcm. Così la democrazia parlamentare è in soffitta». 

Quale potrebbe essere secondo lei la ricetta per ripartire dopo lo shock sanitario e economico che ha messo in ginocchio il Paese? 
«La ricetta è quella delle tre “L”: lavoro, liquidità, liberazione dall’oppressione del fisco e della burocrazia. Gli italiani non vogliono mezzi assistenziali o politiche dell’emergenza. Dal divano nessuno aiuta il Paese a rialzarsi».

Nell’Italia post-Covid la situazione lavorativa delle donne potrebbe aggravarsi? 
«Il telelavoro - chiamiamolo in italiano – è stato certamente uno strumento utile durante l’emergenza, ma non può costituire la regola nell’organizzazione del lavoro. Oggi tutti devono tornare in sicurezza in ufficio come in azienda. In particolare le donne che hanno subito il peso maggiore della crisi tra figli, anziani, professione e lavori domestici. Per loro il telelavoro rischia di trasformarsi in un boomerang perché le ricaccia in casa e le rende marginali nel mercato del lavoro, facendo tornare indietro di cinquant’anni le lancette dell’emancipazione femminile». 

Per la scuola è stato un anno orribile. A pagare i costi del lockdown sono stati soprattutto gli studenti. A settembre si deve tornare in classe. Ma come?
«Tutti gli studenti in classe a settembre è un imperativo categorico. La scuola non è solo didattica al computer, ma è crescita educativa, culturale e sociale. È fatta di aule e di incontri, dialogo e relazione tra studenti e docenti. Ci devono essere subito regole certe ed eguali per tutti. E la responsabilità del governo non può essere scaricata sui presidi. Così rischiamo la catastrofe, creando inaccettabili diseguaglianze e discriminazioni tra studenti di seria A e studenti di serie B. Sono state riaperte tutte le attività produttive, le spiagge, i teatri e i musei. Soltanto per le scuole, che sono una priorità assoluta per il Paese, rimane un caos inspiegabile». 

Lei l’11 luglio ha riaperto il Senato alla cultura e martedì scorso ha visitato il Foro Romano e Palatino per promuovere il rilancio del turismo. Queste battaglie si possono ancora vincere?  
«Si devono vincere. Ne va del futuro di un Paese che trova nell’arte e nella cultura la propria identità e ne fa da sempre uno straordinario volano per l’economia e il turismo. Con la cultura “si mangia” perché è il nostro petrolio, la nostra risorsa strategica. Un patrimonio artistico che nessuna emergenza può consentirci di lasciare indietro». 
 

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