Casaleggio parla all'Onu, Moavero si chiama fuori: evento chiesto da Di Maio

Casaleggio parla all'Onu, Moavero si chiama fuori: evento chiesto da Di Maio
di Simone Canettieri
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Lunedì 30 Settembre 2019, 07:47 - Ultimo aggiornamento: 16:31

Casaleggio? Non l'ho invitato io. Un po' come disse Papa Francesco a proposito della presenza a Filadelfia dell'allora sindaco Ignazio Marino, anche l'ex ministro degli Esteri Enzo Moavero prende le distanze dal viaggio negli Usa, direzione Onu, del presidente di Rousseau, l'associazione che controlla le decisioni del M5S. Alle 21 di questa sera il figlio di Gianroberto parlerà di democrazia digitale nel corso dell'evento Digital Citizenship: Crucial Steps Towards a Universal and Sustainable Society. Un caso che ha fatto subito gridare il Pd (e l'opposizione) al conflitto d'interessi. Anche ieri sera Luigi Di Maio - a Non è l'Arena su La7 - ha spiegato che «l'evento era stato organizzato dal precedente governo».

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E che dunque la delegazione della rappresentazione italiana all'Onu è stata scelta dal suo predecessore alla Farnesina, Enzo Moavero.
Fonti del ministero che prepararono all'epoca il dossier forniscono però un'altra versione: «Fu Di Maio, all'epoca titolare del Mise e vicepremier a chiedere a Moavero di organizzare un evento all'Onu sulla cittadinanza digitale. Senza però specificare che avrebbe partecipato Casaleggio». Un particolare non secondario, che fa diventare un giallo questa conferenza. Di Maio però cerca di sgonfiare il caso: «Ci sarebbe stato conflitto d'interessi se Davide, con l'associazione Rousseau, fosse stato lì a rappresentare il governo. Ma il governo è rappresentato dal ministro dell'Innovazione Pisano». Inoltre, specifica il capo politico pentastellato, «è un seminario all'Onu per dare la cittadinanza digitale».
 



LA SCOSSA
Ma il leader grillino, di ritorno dalla missione a New York, è proiettato ormai sulle cose italiane. Sul fronte interno tiene banco la temperatura altissima all'interno del Movimento. E così da una parte nega che ci siano fronde organizzate contro di lui («Se ci fossero state le firme di 70 senatori contro di me, mi sarei dimesso subito»), ma dall'altra continua a usare il pugno duro contro coloro che hanno cambiato casacca o che potrebbero farlo: «Pretendo i danni d'immagine per chi se n'è andato - il riferimento di Di Maio è alla senatrice Gelsomina Vono, passata con Italia Viva di Renzi - ma sul vincolo di mandato sono pronto al confronto con i costituzionalisti per trovare una soluzione».
Rimane sul tavolo il rapporto complicato, per usare un eufemismo, tra il M5S e il Pd, tensione a cui si è aggiunta anche la nascita di Italia Viva. Reggerà la maggioranza? «Il tema è la prova dei fatti. Se lunedì 7 ottobre tagliamo i parlamentari, sarà la prima prova di fiducia, se non aumenta l'Iva sarà la seconda prova di fiducia», spiega ancora Di Maio, per scacciare i dubbi e le critiche di Alessandro Di Battista, ma anche del senatore Gianluigi Paragone. Anche per questo motivo, il capo politico grillino è più che cauto sullo Ius culturae, tanto che lo derubrica a «non è una priorità». Un modo per cercare di non prestare il fianco all'ex alleato Matteo Salvini (con il quale però sembra non voler avere un confronto in tv). Invece di parlare di cittadinanza agli immigrati, Di Maio dunque preferisce spingere sui rimpatri e sullo stop agli sbarchi, annunciando in settimana un provvedimento. Una continua corsa sul filo di lana, quella del leader. Pronto a mettersi alle spalle la polemica su Casaleggio all'Onu, per gettarsi sulla riorganizzazione del M5S, che sembra non poter più attendere. Ma anche in questo Rousseau sarà centrale.
 

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