Calenda, il ritorno di Carlo l’imprevedibile: il destino da “amici mai” con i dem

Nel 2018 prese la tessera del Pd e un anno dopo la stracciò

Calenda, il ritorno di Carlo l imprevedibile: il destino da amici mai con i dem
di Andrea Bulleri
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Lunedì 8 Agosto 2022, 09:08

«Ogni mattina, al Nazareno, un dirigente del Pd si sveglia e sa che dovrà correre più veloce del Twitter di Carlo Calenda, e dei suoi cambi d’umore...». Fino a poche ora prima dell’annuncio del leader di Azione («alle Politiche corro da solo»), qualcuno tra i dem più smaliziati ci scherzava su, prendendo in prestito le parole del proverbio africano. Perché dopo anni di tira e molla, di strette di mano e accordi saltati all’ultimo miglio, da «Carlo l’imprevedibile» in parecchi tra i democrat si sono abituati ad aspettarsi di tutto. Lampi, fulmini e schiarite improvvise, e poi di nuovo nuvoloni neri nel giro di un pomeriggio. Quasi sempre via Twitter. 

 


LE “CALENDATE”<QA0>
Al punto che mentre due giorni fa Enrico Letta annunciava l’intesa con l’asse rosso-verde di Bonelli e Fratoianni, più d’uno in sala, tra i big del Pd, se ne stava a capo basso a compulsare freneticamente sullo smartphone le bacheche social dell’ex ministro dello Sviluppo, alla ricerca di un segnale. «Che poi, quando non scrive nulla di solito è anche peggio...», si davano di gomito due eletti.

Previsione azzeccata. Carlo alla fine «ha fatto Carlo», sentenzia un altro esponente dem. «Un’altra delle sue Calendate...». 


Un po’ come quando, dopo aver preso la tessera del Pd nel 2018 (all’indomani del tracollo alle Politiche), la strappò un anno più tardi, dopo un crescendo di cannoneggiamenti indirizzati al Nazareno di nuovo via Twitter («aridaje», direbbe lui). «L’unico segretario che bisognerebbe candidare è il presidente dell’associazione di psichiatria», buttò lì, con l’effetto di un pallone calciato in un negozio di cristalli, ai tempi delle primarie 2019 vinte da Nicola Zingaretti. E poi, sempre ai suoi neo-compagni dem: «Basta col cazzeggio, che palle ‘sto partito»...


In fondo tra Calenda e il Pd, a prescindere da chi fosse il segretario, è andata quasi sempre così. Una love-story che infiamma le cronache senza mai sbocciare davvero, “Amici mai”: «Certi amori non finiscono – cantava Venditti – fanno giri immensi e poi ritornano». Una «telenovela», se la ride Giorgia Meloni: «Calenda non si sposa più con Letta ma forse scappa con Renzi...». E chissà se stavolta sarà finita davvero. Perché Carlo e i dem di solito finiscono per cercarsi di nuovo. Si frequentano per un po’, decidono di riprovarci. A volte sembra quasi funzionare. Anche se in genere, nonostante le buone intenzioni non manchino, «scurdammoce ‘u passato», non va a finire troppo bene. 


Quando fece il suo ingresso nel Pd, dopo essere stato viceministro con Letta (era il 2013, e Calenda entrò da dirigente di Confindustria in “quota” Scelta civica), poi ministro dello Sviluppo con Renzi, il futuro leader di Azione fu tranchant: «Non servono nuovi partiti – twittò – Bisogna risollevare quello che c’è». Passano pochi mesi e Calenda si candida alle Europee, eletto con 275 mila preferenze. Col Pd, sì, ma pure con la sua creatura “Siamo Europei”, che coi dem divideva a metà il simbolo. Un nuovo partito? No, anzi forse sì: ma «resto nel gruppo dei socialisti e democratici», mise in chiaro lui. Qualche mese dopo, l’addio al Pd, motivato con la scelta di Zingaretti di dar vita al Conte II coi Cinquestelle. È così che a novembre 2019 nasce Azione: «Siamo l’alternativa ai partiti rammolliti». Sbam. Carlo se ne va, e pure a Bruxelles qualche tempo dopo migra nelle file di Renew Europe.

<blockquote class="twitter-tweet"><p lang="it" dir="ltr">Abbiamo iniziato con un’agenda precisa e abbiamo finito con una coalizione contraddittoria e non credibile. Sostituire i 5S con ex 5S e gente che ha votato la sfiducia a Draghi ed è contro la NATO è insensato. E doppi patti sono incomprensibili. <a href="https://t.co/uhYF4DjqhA">https://t.co/uhYF4DjqhA</a></p>&mdash; Carlo Calenda (@CarloCalenda) <a href="https://twitter.com/CarloCalenda/status/1556283374721028098?ref_src=twsrc%5Etfw">August 7, 2022</a></blockquote> <script async src="https://platform.twitter.com/widgets.js" charset="utf-8"></script>


LA PARTITA DI ROMA<QA0>
Sembra un addio, al Pd e al centrosinistra. Ma si rivela un arrivederci. Perché a Roma – siamo alla primavera 2021 – c’è da scegliere il candidato che sfiderà Virginia Raggi. Ed ecco che tra Calenda e Letta, nel frattempo divenuto segretario dem, si riaprono le danze. Più che un tango, un “pogo”, in cui i protagonisti se le danno di santa ragione a ritmo di musica hardcore. Perché il matrimonio vista Campidoglio, dopo mesi di avvicinamenti, frecciate, corteggiamenti reciproci e reciproche fughe, finisce per naufragare. Enrico vuole le primarie, Carlo non ci sta e balla da solo. Portando a casa il 19% e sfilando ai dem il primato di partito più votato. Finita qui? Neanche per sogno. Archiviata la corsa al Campidoglio, si apre quella per il collegio Roma 1 lasciato libero da Roberto Gualtieri. Tutto fa presagire che si candiderà Calenda, appoggiato dal Pd. Ma i dem guardano a Conte, che rifiuta. E tra tweet incendiari e risposte piccate l’accordo va a farsi benedire. Stesso copione, fino al patto per le Politiche. Firmato martedì, stracciato ieri. «Bisogna essere in due, per ballare il tango», alzano le spalle dal Nazareno. E l’impressione è che nessuno, né Carlo né Enrico, eterni promessi, mai sposi, avesse troppa voglia di entrare in pista. 
 

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