Autonomia, Carfagna: «Le imprese del Nord contrarie alla riforma»

La presidente di Azione: «Il rapporto con la Pa rischia di diventare un calvario»

Autonomia, Carfagna: «Le imprese del Nord contrarie alla riforma»
di Francesco Malfetano
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Martedì 24 Gennaio 2023, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 12:04

Onorevole Mara Carfagna, il ministro Roberto Calderoli ha garantito che il disegno di legge sull’autonomia differenziata sarà in consiglio dei ministri per un pre-accordo che darà il là al percorso della riforma. Che ne pensa?
«Siamo già alla terza bozza della stessa norma in quasi due mesi. Mi pare evidente che l’approccio a un tema così complesso sia quantomeno superficiale da parte del governo. Il ministro Calderoli non guarda alle necessità e alle priorità del Paese ma a quelle del suo partito. E la necessità della Lega oggi è sventolare la bandiera autonomista a ridosso dell’apertura delle urne in Lombardia, ma sottovalutano il territorio».

Cosa intende?
«Chi conosce bene il tema dell’autonomia nella versione bandiera della Lega sa che preoccupa le imprese del Nord. Sono spaventate dall’avere oltre venti sistemi fiscali, scolastici, sanitari e di trasporto con cui relazionarsi. Il rapporto pubblico-privato così diventerà un calvario. Però io credo che Giorgia Meloni sia una persona seria e sia consapevole che concedere questo accordo ai suoi alleati comporti cedere alla loro propaganda. E non si può regalare una riforma così importante ad un partito che al Sud o al Centro quasi non esiste e che per di più al Nord è surclassato. Significa dividere il Paese per inseguire un’assoluta minoranza».

 

Lei è presidente di Azione. Il suo partito, con Italia Viva, come si colloca?
«Non siamo contrari all’autonomia, crediamo che le Regioni possano gestire direttamente alcune selezionate materie a patto che vi sia l’obbligo per lo Stato di istituire un fondo di perequazione a tutela dei territori più poveri perché con minore gettito fiscale. Soprattutto va rispettato il dettato costituzionale secondo cui devono essere garantiti ovunque i Lep (Livelli essenziali prestazioni ndr) altrimenti si compromette il principio di uguaglianza».

 

Quantomeno sugli standard minimi però il ministro Calderoli pare aver fatto qualche passo indietro.
«Anche sui Lep il ministro ha individuato un percorso farraginoso, poco concreto, che passa per una cabina di regia e una costosa segreteria tecnica, molto fumo e poco arrosto. Mi permetto di far notare che con il governo Draghi, senza tutto ciò, in legge di bilancio abbiamo indicato e finanziato i Lep per asili nidi, assistenti sociali e trasporto scolastico degli studenti con disabilità. Come? Abbiamo investito quasi due miliardi di euro per migliorare l’offerta ovunque è carente, per assumere personale e attivare servizi nell’arco dei prossimi 5 anni». 

 

In sintesi: l’accordo politico sancito rischia di essere una trappola per il Paese?
«Lo vedo come un modo per buttare la palla in tribuna. Fanno intravedere la possibilità che definiscano i Lep, ma ad un occhio attento non sfugge la differenza tra indicare un obiettivo e garantire il suo raggiungimento. L’organismo tecnico che già si occupa di Lep, la Commissione tecnica fabbisogni standard del Mef, aveva già definito l’azione sul diritto allo studio universitario. Un Lep per cui io ho presentato un emendamento in Manovra perché fosse finanziato, ma la maggioranza l’ha soppresso. Avrebbero potuto prenderlo e intestarselo, invece è evidente che non hanno voglia di farlo...»

 

Lei diceva che l’elenco delle materie devolvibili dovrebbe essere ridotto. Quali terrebbe?
«Covid e crisi energetica ci hanno insegnato che la sanità, la scuola, le infrastrutture, i rapporti con Bruxelles, la politica energetica e quella commerciale devono restare potestà statale e quindi noi presenteremo una proposta di riforma costituzionale per cambiare il titolo V. Sono certa che molti nel governo saranno d’accordo. Le faccio io una domanda però».

 

Prego.
«Oggi Meloni è in Algeria per contrattare nuove forniture di gas per l’Italia. Se l’autonomia di Calderoli fosse già stata realtà cosa sarebbe accaduto? La politica energetica secondo la bozza tocca alle singole Regioni. Con lei ci sarebbero dovuti essere anche i governatori? Oppure il premier avrebbe dovuto contrattare il da farsi con loro prima di partire? Ogni questione diventerebbe simile a un’intesa internazionale. E del resto anche il fatto che accordi e valutazioni non sono emendabili in Parlamento dà questa impressione. Ma le faccio un altro esempio, in tema energia. Penso alle trivellazioni: il governo nonostante Lega ed FdI si schierarono per il “No” nel 2016, le ha autorizzate. Il Veneto però, dove si dovrebbero fare, è contrario. Ora trattandosi di sicurezza nazionale chi è che decide? Prevale l’interesse generale dello Stato o quello dei potentati locali?». 

 

Sulle altre riforme da che parte state? Sul presidenzialismo proposto da Fratelli d’Italia ad esempio si è detto che avevate una posizione «dialogante». E così?
«Io sono sempre dalla stessa parte, contro il presidenzialismo e a favore del premierato. La posizione sempre espressa dai moderati italiani. La riforma costituzionale voluta da FI e bocciata dal referendum prevedeva il premierato, con il rafforzamento dei poteri del Presidente del consiglio. La presidenza della Repubblica è un istituto di garanzia essenziale, sopravvissuto alla contrapposizione politica più feroce. Azione e Iv ritengono irresponsabile immaginare una modifica dell’assetto». 

 

Sul tavolo ci sono anche i poteri speciali per Roma Capitale.
«Credo non abbia nulla a che fare con l’autonomia, e quindi dovrebbe essere risolta in un contesto separato. Anche perché è assai meno divisiva e il governo potrebbe trovare facile consenso tra le le forze politiche. Sui contenuti non c’è dubbio: Roma va equiparata ad una Regione e deve ricevere finanziamenti diretti, al pari delle altre grandi capitali europee. Tutto ciò è una bandiera per la destra da sempre, ora dimostri di essere coerente».

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