Covid, la Camera vota la fiducia al decreto ma 28 grillini si sfilano. Ora il governo è in bilico

La Camera vota la fiducia ma 28 grillini si sfilano. Ora il governo è in bilico
di Marco Conti
4 Minuti di Lettura
Giovedì 3 Settembre 2020, 07:07 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 00:34

Alla Camera si sfilano in ventotto. Un quarto del gruppo parlamentare grillino per la prima volta non vota la fiducia al governo Conte. Tanti anche, al netto di qualche assente giustificato, pronti ad inviare un messaggio chiaro e forte al presidente del Consiglio che ha posto la fiducia sul decreto-Covid che allunga lo stato di emergenza, ma che contiene anche una norma che allunga il mandato dei vertici dei Servizi di sicurezza senza che mai il Copasir ne sia stato informato.
LE IMPRONTE
Per evitare che l'emendamento di Federica Dieni e altri cinquanta grillini abrogasse la norma, ieri l'altro palazzo Chigi ha posto la questione di fiducia. Immediate e vivaci le proteste dei parlamentari Cinquestelle che ieri - seppur in parte - hanno espresso, assentandosi, il proprio disappunto. Alla fine il decreto è passato lo stesso con 276 sì e 194 no, anche per la presenza rafforzata degli altri gruppi di maggioranza, ma il segnale dell'insofferenza resta, amplifica il caos interno al Movimento, e se dovesse trasferirsi al Senato sarebbero dolori visti i numeri già risicati. Senza un capo politico, e con un reggente in rotta di collisione con il presidente del Consiglio per via del suo appello all'intesa Pd-M5S alle regionali, la maggioranza corre su un filo di lana in attesa dei due appuntamenti elettorali di fine mese.

Regionali, incubo di settembre per M5S: «Finiremo sotto il 10%»

Regionali, da Zingaretti a Berlusconi e Salvini: nel voto di settembre il destino di leader e partiti

Stando ai numeri la prova di forza di palazzo Chigi e del governo è riuscita - anche se ai 288 grillini si è aggiunto Michele Anzaldi (Iv) che non ha votato la fiducia in polemica con il governo - ma il segnale di debolezza che si proietta sulla maggioranza è evidente. Soprattutto perché la vicenda segnala uno scollamento sempre più netto tra Giuseppe Conte e il partito che per ben due volte lo ha indicato per palazzo Chigi. Ad amplificare il caos interno al principale partito di governo, l'addio di Piera Aiello al Movimento in aperta polemica con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. L'addio della Aiello segue di pochi giorni quella di Paolo Lattanzio e Nunzio Angiola e fanno arrivare a 48 - un vero e proprio partito - il numero dei parlamentari persi per strada dal Movimento. A lungo testimone di giustizia, la Aiello rappresentava in Sicilia un fiore all'occhiello dei pentastellati, ma basta leggere le motivazioni del suo addio, scritte sui social, per comprendere come ormai nel Movimento è un tutto contro tutti, esplosivo e pericoloso con pesanti accuse di contiguità mafiosa che in altri tempi avrebbero scatenato i pentastellati. Se non ci fosse la voglia di arrivare in qulunque modo in fondo alla legislatura, probabilmente il tappo sarebbe già saltato. Malgrado sia alle viste un referendum che dovrebbe celebrare una delle battaglie grilline contro la casta: il taglio dei parlamentari.

Elezioni regionali, Casaleggio prova a trattare ma sulle alleanze è isolato

Ed invece a fare la campagna elettorale per il Sì e per i candidati pentastellati presenti nelle regioni dove si vota, c'è solo Luigi Di Maio. Malgrado gli impegni da ministro l'ex capo politico viaggia in lungo e in largo. Spariti, o quasi, gli altri big del Movimento. A cominciare da Alessandro Di Battista che si è nuovamente inabissato. Sotto il pelo dell'acqua viaggia anche da qualche settimana il presidente del Consiglio che ieri - pur di continuare la stagione del silenzio - ha mandato in Senato il ministro della Salute Roberto Speranza a rispondere in sua vece alle richieste delle opposizioni sulla gestione della pandemia.
LA FUGA
Quanto possa durare il passo indietro comunicativo del presidente del Consiglio è difficile dirlo, anche perché il doppio appuntamento elettorale si avvicina e potrebbe non bastare tenersi lontano dalla campagna elettorale per evitare possibili contraccolpi. I più immediati - qualora le elezioni regionali dovesse concludersi, come sostengono i sondaggi, con la perdita da parte del Pd di Marche e Puglia - si avrebbero nel Pd con il prevedibile assalto alla segreteria di Nicola Zingaretti. Per vedere cosa concretamente accadrà nel M5S occorrerà invece attendere ottobre con la convocazione degli Stati generali che dovrebbero ridare al Movimento una guida. O forse due, qualora dovesse concretizzarsi la più volte paventata scissione.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA