«L’accordo di fondo è raggiunto. Ci sono tutte le premesse per chiuderlo, ma il diavolo è sempre nei dettagli ed è meglio essere prudenti», dice Carlo Calenda. Ancora più cauto Matteo Renzi: «Domani (oggi, ndr.) ci vediamo e decidiamo. L’intesa non è chiusa, ma auspico che si faccia: sono ottimista e prudente». Eppure, in barba ai tatticismi, chi conduce la trattativa in nome e per conto dei due leader per la costruzione di quello viene battezzato «Polo del buonsenso», dà per fatto (o quasi) l’accordo. E oggi dovrebbe esserci l’ufficializzazione, anche se Renzi non esclude uno slittamento a domani.
La giornata è stata scandita da numerose telefonate tra Calenda e il leader di Italia viva.
Che questo sarà l’epilogo è confermato da Calenda: «Stiamo lavorando a una lista unica con una chiara indicazione della leadership». Ma fino a ieri sera gli sherpa dei due partiti hanno litigato sulla distribuzione dei seggi sicuri («solo nel proporzionale, nell’uninominale non si toccherà palla...») e di quelli contendibili, che dovrebbe essere fatta in base al principio dell’alternanza. Ad esempio: Roma 1 nel proporzionale della Camera ad Azione, e il collegio senatoriale sempre di Roma 1 a Italia viva, etc. I nomi in corsa nel proporzionale tra i calendiani: Mara Carfagna, Maria Stella Gelmini, Costa, Richetti, Osvaldo Napoli, Andrea Cangini. I renziani: Rosato, Maria Elena Boschi, Francesco Bonifazi, Luigi Marattin, Teresa Bellanova, Elena Bonetti, Michele Anzaldi. Tra l’altro, forte dei pareri dei costituzionalisti Sabino Cassese e Giovanni Guzzetta, Calenda ha comunicato ai segretari regionali del partito che «non si dovrà procedere alla raccolta delle firme». Ma il listone unico ormai appare cosa fatta. «Anche perché ci sarebbe sempre il rischio di un contenzioso legale», dice una fonte di Italia viva.
Le convergenze
Di certo, Calenda e Renzi già parlano la stessa lingua. E mostrano di avere aspettative e strategie convergenti. Primo punto: la bocciatura dei sondaggisti. «Ci danno insieme al 4%? Non mi preoccupo. Quella stima è fatta dal sondaggista del Pd», dice il capo di Azione. «Sono certo che raggiungeremo un risultato a due cifre», sopra il 10%, azzarda il leader di Italia viva.
Secondo punto: la convinzione che, strappando voti a Forza Italia, «si possa ottenere un pareggio andando bene nel proporzionale del Senato. E così si potrà fare un governo di unità nazionale guidato da Draghi. Non a caso Berlusconi ci attacca», teorizza Renzi parlando con La Stampa. Calenda conferma: «L’obiettivo è costruere una coalizione larga che chieda a Draghi di rimanere a palazzo Chigi. Meloni va battuta sul terreno del proporzionale, al Senato. Io mi candiderò lì».
Terzo punto di convergenza: per entrambi i leader «Meloni non è un pericolo per la democrazia», come invece sostiene Enrico Letta, «ma per le casse dello Stato». Renzi docet. E Calenda: «Meloni sta promettendo un programma elettorale da 80 miliardi, senza dire dove li andrà a prendere...».
Non manca un botta e risposta tra ex alleati. Emma Bonino ha attaccato a testa bassa il leader di Azione per aver rotto il patto siglato con il Pd: «In tutta la mia lunga vita politica mai avevo visto un voltafaccia così repentino, immotivato e truffaldino». La replica di Calenda: «Cara Bonino, io sono una persona educata. Ho avuto per te solo parole di stima. Cerca però di non perdere il controllo di te stessa. Grazie».
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