Calenda-Letta, accordo in stallo: oggi l'incontro. ​Le condizioni di Azione su collegi e programmi bloccano il patto

I calcoli: «Portiamo via voti a Forza Italia e al Senato può uscire fuori un pareggio»

Le condizioni di Azione su collegi e programmi bloccano il patto: oggi incontro-chiave col Pd Altolà FdI sul federalismo: niente fughe in avanti. Gogna Grillo sugli ex M5S: sono zombie
di Alberto Gentili
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Martedì 2 Agosto 2022, 01:29 - Ultimo aggiornamento: 12:09

«Visto che non si può vincere, la partita è non far vincere nessuno». Carlo Calenda, in queste ore di tira e molla con Enrico Letta, di palla lanciata nel campo del Pd e rispedita al mittente, tra mille dubbi coltiva la tentazione del Terzo Polo e la speranza che dal voto del 25 settembre possa saltare fuori un pareggio. «E lo possiamo strappare se blocchiamo il Senato, se lì nessuno avrà una maggioranza certa...». Del resto non sarebbe una novità la mancanza di un vincitore a palazzo Madama, da sempre il ramo del Parlamento dove la maggioranza è appesa a un pugno di voti a causa della distribuzione su base regionale dei resti.
A far lievitare l’ottimismo del leader di Azione sono i dati del sondaggio che ha commissionato, dove il suo partito e +Europa sono dati al 10,7% se corresse da sola. Senza stringere la (difficile) alleanza con il Pd che gli farebbe perdere per strada almeno due punti percentuali. «E questo 10,7% è solo all’inizio», dicono nell’entourage di Calenda, «il nostro partito sta crescendo di un punto a settimana e continuerà a farlo. La ragione? Siamo l’unica novità politica di questa campagna elettorale».

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Per Calenda, in queste ore e notti tormentate, «la questione vera» è se riuscirà a prendere più del 12%. L’ex ministro dello Sviluppo confida però di poter fare addirittura meglio e di più. Crede di avere un potenziale di crescita «fino al 15%», imbarcando Matteo Renzi che da solo potrebbe fare danni rosicchiando qualche voto. «E se si arriva al 15%, davvero non vince nessuno». Ma questo al prezzo di rinunciare alla promessa alleanza con il Pd che, come dice perfino Emma Bonino, «nessuno della nostra base vuole più». Oggi si saprà.
Di certo, secondo Calenda, la chiave del successo (e del pareggio) è provocare l’eclissi di Forza Italia e di Silvio Berlusconi.

A questo, oltre a un programma moderato improntato sull’agenda del governo di Mario Draghi, servono gli ingressi in Azione delle ministre Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna.

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«I nostri sondaggi», spiegano fonti vicine al leader di Azione, «ci danno al 6% e Forza Italia al 5%. Ebbene, se riuscissimo a spingere Berlusconi sotto la soglia del 3%, gli elettori moderati si scoprirebbero irrilevanti nel centrodestra e scapperebbero da Salvini e Meloni potendo convergere su di noi. La presenza di Carfagna e Gelmini è la dimostrazione che è Azione il punto di riferimento di chi non è sovranista o di sinistra».
Rompere con il Pd (da qui l’impennata dello scontro con Letta), renderebbe inoltre più credibile la scelta e la collocazione moderata e centrista di Azione. Non a caso, in base ai dati in suo possesso (anche se ce ne sono altri di segno diverso), Calenda è convinto di andare meglio da solo che in alleanza con il Pd. 
E, in questo quadro, il mancato matrimonio di convenienza servirebbe tra l’altro anche al Pd: senza Azione sarebbe al 23%, con Azione al 21%. «E potete stare certi», ha confidato Calenda ai suoi, «che se noi andiamo da soli, un istante dopo Letta si imbarca Conte e i 5Stelle...». 

 

Il nodo dei programmi

Del resto il segretario del Pd, secondo il leader di Azione, ha cominciato la campagna elettorale parlando di patrimoniale su pensioni e successioni sopra i 5 milioni proprio per rivolgersi agli elettori di sinistra e per ammortizzare e disinnescare Giuseppe Conte in versione arruffa popolo, alla Mélenchon. «Ma così facendo ci ammazza...». La ragione: «Fa scappare i moderati dall’alleanza larga e ci rende meno credibili». Segue sospetto di un alto dirigente di Azione: «Il segretario del Pd in fondo non crede nella vittoria e ha poco interesse alla politica. Vuole, piuttosto, accasarsi alla Nato nel ruolo di segretario generale». 
Di certo, c’è che Letta punta a fare del Pd il primo partito. «O noi o Meloni», ripete. «Ma a me di questa gara tra Giorgia ed Enrico importa davvero poco», ha confidato Calenda. Da par suo Letta non crede che possa saltare fuori un Senato ingovernabile e senza maggioranza. Insomma, non crede agli effetti positivi del Terzo Polo. «Il pareggio non è contemplato», non fa che ripetere, «o vince la destra sovranista e populista amica di Putin, oppure vince il fronte progressista ed europeista».

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