Fumata bianca fra Ue e Regno Unito. Dopo mesi di estenuanti negoziati arriva l'agognato accordo di Natale sulle relazioni post Brexit, siglato sotto l'albero giusto alla Vigilia. Un accordo di libero scambio che seppellisce l'incubo di un traumatico 'no deal' commerciale. E che, se non cancella lo scossone storico del divorzio e dei contraccolpi che non potranno non seguirne, fa svanire almeno i timori di una rottura traumatica: l'ombra di un caos doganale, di una guerra di dazi, di conseguenze sulla stretta cooperazione fra l'isola e il continente in settori cruciali come la sicurezza o come la ricerca scientifica, vitale in tempo di emergenza Covid.
Brexit, il Regno Unito rivendica la vittoria nei negoziati
L'accordo
Il testo, 2000 pagine di dettagli tecnici da scrutinare riga per riga, è stato definito a Bruxelles dopo un anno di trattative fiume fra i team negoziali guidati da Michel Barnier e dal lord David Frost.
The deal is done. pic.twitter.com/zzhvxOSeWz
— Boris Johnson (@BorisJohnson) December 24, 2020
I contenuti
La quadratura del cerchio è avvenuta anche sui punti più controversi: dall'allineamento normativo del cosiddetto level playing field utile a scongiurare rischi di concorrenza sleale su temi come i diritti dei lavoratori, le tutele ambientali o gli aiuti di Stato; alla governance sui contenziosi futuri (con l'esclusione di qualsiasi ruolo della Corte di Giustizia Europea); sino al dossier della pesca, piccolo ma ostico. Punti definiti per lo più grazie a compromessi incrociati, a dispetto dei proclami di vittoria negoziale sbandierati ora dalle due parti (Londra in primis): come nel caso della pesca, risolto con conteggi «sgombro per sgombro», secondo fonti diplomatiche. Von der Leyen ha salutato la svolta «con soddisfazione e sollievo», ma non con gioia, di fronte a quello che resta un divorzio, seppure amichevole.
Le reazioni
Mentre ha parlato di un'intesa equilibrata, rispettosa degli interessi europei e che permette di lasciare ora «la Brexit alle spalle» rimanendo «partner». E toni simili sono venuti da Giuseppe Conte, da Angela Merkel, da Emmanuel Macron e da altri leader. Johnson, a cose fatte, ha da parte sua potuto alzare i pollici, rivendicando di aver mantenuto le promesse (non tutte in realtà), di aver restituito «la sovranità» e «il controllo» al Regno in uscita dal mercato unico e doganale e di aver rimesso «il destino» nazionale nelle mani del suo Paese. Un Paese che resta «amico e alleato» dei 27 dell'Ue, oltre che «principale mercato» del continente, ha rimarcato. Ma che, in attesa di chissà quali nuove opportunità globali, si prepara intanto ad affrontare «cambiamenti» inevitabili e - almeno nell'immediato, non ha potuto fare a meno di ammettere BoJo - non tutti indolore. Come ad esempio accadrà, fra tanti altri, con il tramonto definitivo della piena libertà di movimento a cavallo della Manica, con il ritorno dei visti, con un regime d'immigrazione più severo, con la rinuncia britannica agli scambi di studenti del programma Erasmus. Senza dimenticare i malumori interni al Regno: primi fra tutti quelli dei secessionisti scozzesi, la cui leader, Nicola Sturgeon, non ha perso tempo a rilanciare la propria sfida: «La Brexit - ha twittato - arriva contro la nostra volontà. È tempo che la Scozia diventi una nazione europea indipendente».