Bonaccini: «L’Autonomia che divide l’Italia. Voglio un Pd senza correnti, il partito sarebbe tutto da resettare»

Il candidato alle primarie: «Valorizzare il ruolo della Capitale è interesse nazionale»

Bonaccini: «L’Autonomia che divide l’Italia. Voglio un Pd senza correnti»
di Andrea Bulleri
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Sabato 25 Febbraio 2023, 00:26 - Ultimo aggiornamento: 27 Febbraio, 08:44

Stefano Bonaccini, candidato alla segreteria del Pd: partiamo da un tema caldo, l’autonomia differenziata. La Lega le contesta di aver cambiato idea sulla riforma: come risponde?
«Avevano bisogno di un trofeo da mostrare alle elezioni regionali in Lombardia: per il proprio tornaconto hanno approvato un disegno di legge profondamente sbagliato, che spacca il Paese e penalizza i territori più deboli. Il tutto senza confronto con Regioni ed enti locali. Così com’è il ddl è irricevibile: carta straccia. La nostra proposta era diversa: prevedeva un più forte coinvolgimento del Parlamento, a partire dalla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni. È fondamentale garantire a tutti i cittadini gli stessi diritti e servizi. E poi è doveroso ridurre le differenze infrastrutturali. Noi non vogliamo un euro in più. E serve un accordo condiviso e solidale tra Regioni». 

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I sindaci accusano la legge Calderoli di marginalizzare i Comuni. È d’accordo?
«L’autonomia che serve deve partire dal presupposto che sono proprio i Comuni l’istituzione più vicina ai cittadini. Anche l’articolo 116 della Costituzione, quello sull’autonomia differenziata, prevede il coinvolgimento degli enti locali. Le Regioni non devono gestire, ma legiferare e programmare».

Ha parlato di un’Italia spaccata: pensa che anche il ruolo della Capitale possa essere ridimensionato?
«Il governo deve modificare la proposta, per condividere con gli enti locali un impianto serio ed equilibrato da portare in Parlamento.

Il peggior torto che si possa fare alla causa dell’autonomia è spaccare le autonomie locali che saranno chiamate a gestirla e le Camere che devono approvare le intese. Senza una riforma buona e un’autonomia giusta sarebbe il caos: è l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno. Quanto a Roma, credo sia interesse nazionale valorizzare il ruolo della Capitale, non è una questione solo romana».

Di solito nel Pd il giorno dopo le primarie comincia il cannoneggiamento del nuovo segretario da parte delle correnti. Lei cosa si aspetta?
«Ho detto dall’inizio che non avrei accettato l’appoggio delle correnti, di cui non ho mai fatto parte. Un messaggio chiaro: non credo sia un caso che praticamente tutti i capicorrente siano da un’altra parte. Così come è un fatto che chi ha guidato il partito in questi anni o ha avuto più volte ruoli di governo abbia scelto di non appoggiarmi. Dobbiamo fare un passo avanti e chiedo anche a Elly, Gianni e Paola di fare altrettanto, collaborando attivamente per l’unità del Pd. Sono certo di poter garantire l’unità del partito».

 

L’ex segretario Nicola Zingaretti se ne andò dicendo che si vergognava del suo partito. Le ragioni di quelle dimissioni sono ancora presenti nel Pd?
«Zingaretti lasciò individuando proprio nelle correnti la ragione principale: non condivisi quella scelta e glielo dissi. Per me i problemi si affrontano. Per questo ho detto che serve resettare tutto. Un grande partito plurale ha tante anime e vive se sa farle confrontare, cercando una sintesi alta; non se si spartisce i seggi in direzione o nelle liste per il Parlamento. Per me, e per tante e tanti, si volta pagina. E per storia e caratteristiche, credo di poter garantire questi due risultati: un Pd più unito che tornerà a vincere».

“Resettare” significa che cambieranno le figure di vertice?
«Veniamo da troppe sconfitte, è giusto che chi ha guidato il Pd in questi anni faccia un passo di lato: si può dare una mano anche senza ricoprire incarichi. Abbiamo militanti che ogni giorno danno il proprio contributo senza nulla in cambio: siano d’esempio per tutti. Al mio fianco c’è oggi una classe dirigente molto fresca, già sperimentata nei territori: amministratori locali che ogni giorno danno risposte alle persone, donne e uomini che le elezioni le vincono, visto che governiamo nel 70% dei Comuni. E militanti che hanno lavorato nei circoli senza un euro in cassa, ma pronti a mobilitarsi. Io chiamerò loro al mio fianco: è l’energia popolare che serve al Pd per tornare a vincere e cambiare il Paese».

È ancora convinto di chiedere un incontro a Giorgia Meloni, se diventerà segretario?
«Certo. Da segretario del primo partito di opposizione le dirò che rispettiamo il mandato degli elettori: governare è loro dovere, prima che loro diritto. E che garantiamo e pretendiamo rispetto: siamo avversari, non nemici. Ma non faremo sconti, né sulle promesse irrealizzabili, né sulle scelte sbagliate. Saremo un’opposizione seria e pragmatica: ai tanti ‘no’ che diremo affiancheremo sempre una controproposta. E collaboreremo quando sarà nell’interesse dell’Italia, in trasparenza. Il nostro obiettivo è batterli alle prossime elezioni potendo essere giudicati più credibili dai cittadini».

Letta cercò di allearsi con tutti e alla fine rimase senza nessuno, lei pensa di riuscir dove il segretario uscente ha fallito?
«Io credo che le alleanze siano un mezzo, non un fine. Gli accordi fatti a tavolino per battere gli avversari non funzionano, e infatti ci siamo ritrovati con un Pd più debole e praticamente senza alleati. Le alleanze si fanno sui contenuti, costruendo posizioni comuni dall’opposizione. E le dobbiamo fare dando più forza e riconoscibilità al Pd, perno di un centrosinistra nuovo. Ho avanzato alcune proposte, dall’istituzione del salario minimo legale alla difesa della sanità pubblica. Se Terzo polo e 5Stelle sono interessati, partiamo da lì».

Nel 2024 oltre alle Europee ci saranno le amministrative. Il Pd intende proseguire con le alleanze variabili, come alle ultime Regionali?
«Il nostro obiettivo è tornare a essere il primo partito alle Europee e confermare la forza che abbiamo nei comuni. Nelle città è più facile costruire convergenze sulle cose da fare, coinvolgendo anche energie civiche. Ma proprio per questo non vedo schemi da calare dall’alto. Credo piuttosto che la doppia sconfitta delle ultime Politiche e Regionali farà riflettere 5 Stelle e Terzo polo: se non vogliono consegnarsi all’irrilevanza, sarà loro interesse venire ad un confronto più laico, senza veti. Ed è interesse anche nostro».

Lei dice spesso che la sinistra deve uscire dai salotti e dalla Ztl. In concreto, che significa? 
«Tornare dove la gente vive, studia, lavora. Sono andato ai cancelli di Mirafiori e mi hanno detto che era da oltre dieci anni che non vedevano il segretario del Pd. Mi hanno chiesto di tornare se sarò eletto. Di Mirafiori ce ne sono cento, mille. Voglio un gruppo dirigente che venga dal territorio e stia sul territorio. Anche quando non hai soluzioni, le persone ti riconoscono se ci sei, ti confronti, ti fai carico dei problemi. Da lunedì si riparte da lì».

C’è chi la critica per il suo look: la pochette, gli occhiali, le sopracciglia. Quanto conta l’aspetto, per vincere?
«Direi zero. Se ne parla due minuti e poi subentrano i contenuti e la credibilità: se ci sono si conquista consenso, se mancano si perde. Le persone cercano soluzioni, non gossip».
 

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