Boccia: «Basta differenze tra i cittadini, stessi servizi per tutte le Regioni»

Boccia: «Basta differenze tra i cittadini, stessi servizi per tutte le Regioni»
di Andrea Bassi
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Giovedì 10 Settembre 2020, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 17:43

Francesco Boccia, ministro degli Affari regionali, va subito al dunque. «La bozza di disegno di legge quadro sulle autonomie regionali», dice al Messaggero, non è assolutamente un attacco alla Capitale». Il riferimento è al provvedimento che riavvia l’iter dell’autonomia differenziata chiesta da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.


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Però ministro, l’impressione è che la questione dell’autonomia delle Regioni venga sempre affrontata per sottrazione di funzioni e risorse al centro, ossia a Roma?
«Roma merita un provvedimento ad hoc che vada incontro alle legittime aspirazioni della Capitale. Ma non è un tema che riguarda la legge quadro sulle autonomie».

Ma quando si disegnano le autonomie non andrebbe ridisegnato anche lo Stato centrale?
«Questa è la vecchia impostazione».

E qual è quella nuova?
«La mia stella polare è l’affermazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ci ricorda che l’autonomia rafforza l’unità nazionale. La completa attuazione del Titolo V della Costituzione è un dovere. E va preso atto che nei quasi vent’anni passati dalla riforma costituzionale del 2001 vi è stata una crescita legislativa delle regioni sulle materie concorrenti. Oggi siamo ad un bivio».

Un bivio?
«O attuiamo fino in fondo il Titolo V, o torniamo indietro. Ma se tornassimo indietro faremmo più danni. Intanto perché la Costituzione è questa, e poi perché proprio il Covid ha dato prova che la leale collaborazione tra Stato e Regioni può funzionare».

A dire il vero proprio la pandemia ha mostrato dei limiti nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni, dalle discoteche alle zone rosse.
«Non sono d’accordo. Lo Stato è intervenuto con la sua forza quando serviva e ha dato linee guida chiare e responsabilità. Autonomia e responsabilità camminano insieme. Io vedo i lander tedeschi che sono in grande difficoltà. Le comudidad spagnole che si sono accartocciate, per non parlare degli Stati Usa. Dico che se il regionalismo all’italiana completasse la sua evoluzione, diventerebbe un modello avanzato».

Lei ha ricordato come la richiesta di autonomia del Nord parta dalla devoluzione di Bossi. Il dibattito, anche quello recente, si è incentrato sulla richiesta delle Regioni più ricche di tenere sui loro territori parte del gettito fiscale. Questo tuttavia, nella sua bozza resta?
«Il residuo fiscale non è più sul tavolo».

Però il testo prevede la compartecipazione al gettito. Se il gettito aumenta ma i costi dei servizi trasferiti restano fermi il surplus va alla Regione?
«Intanto stiamo parlando di bozze che hanno recepito il contributo di tutti i partiti ma che restano bozze e non dovrebbero circolare. Il disegno di legge sarà compiuto quando il Parlamento lo avrà votato. A mio parere non è quello il passaggio più importante».

Qual è allora?
«La definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, i famosi Lep per ridurre le distanze nei servizi non solo tra Nord e Sud, ma tra aree interne di montagna e aree metropolitane. Diventa vincolante per l’attribuzione delle stesse materie alle Regioni».

I Lep non basta calcolarli, i servizi vanno anche finanziati per ridurre le distanze?
«Non a caso nel documento sul Recovery Fund inviato oggi al Comitato interministeriale per gli Affari europei, è previsto l’uso delle risorse europee per finanziare i Lep. I Lep sono entrati tra i criteri di valutazione. Questa è una rivoluzione culturale».

Quanti soldi serviranno per finanziarli?
«Sarebbe scorretto fare numeri. Qualsiasi cifra condizionerebbe il dibattito. Lo vedremo in Parlamento quando saranno definiti. Se sarà 40, 50 o 100 miliardi, quello costituirà il conto delle diseguaglianze italiane che andrà colmato. Se la lezione che abbiamo imparato dal Covid è che non ci potranno più essere vincoli di bilancio che condizionano i diritti universali, a partire da sanità e scuola, allora non c’è discussione. La mia posizione politica è che il conto delle diseguaglianze va pagato. Qualsiasi cifra dovesse venire fuori».

Ma il trasferimento delle competenze avverrà quando i Lep saranno definiti o quando saranno finanziati?
«Se tutte le Regioni hanno deciso di sedersi al tavolo, se lo hanno fatto anche i sindaci delle città metropolitane, credo che vada dato atto di questa assunzione di responsabilità. E allora anche lo Stato deve fare la sua parte. Penso che su alcune materie sia incomprensibile che debbano occuparsi le amministrazioni centrali. Mi riferisco alla promozione del territorio, alle camere di commercio, alla promozione di alcuni investimenti. I ministeri devono dare le linee guida, controllare e verificare. Io mi fido delle decisioni dei presidenti di regione e sindaci quando, per esempio, c’è da decidere il dragaggio di un porto. La mia proposta al Parlamento sarà che tutte le materie amministrative che si possono decentrare vadano decentrate. Chi vive sul territorio lo conosce meglio di chi è a Roma».

La legge quadro prevede anche il fondo di perequazione infrastrutturale per colmare i divari tra Nord e Sud. Una promessa sempre fatta ma mai mantenuta, sarà diverso?
«Anche in questo caso il ponte tra la norma e la sua attuazione saranno le risorse del Recovery fund. Il minimo che investiremo al Sud sarà quel 34% di fondi fino ad oggi mai rispettato. E su questo il ministro Provenzano sta facendo un grande lavoro».

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