Meloni, Berlusconi chiede Giustizia e anche Sviluppo (che si occupa di tv)

Il Carroccio insiste per Calderoli a Palazzo Madama

Governo, le richieste di Berlusconi a Giorgia Meloni: Giustizia e anche Sviluppo (che si occupa di tv)
di Emilio Pucci
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Mercoledì 12 Ottobre 2022, 08:09 - Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre, 08:31

Silvio Berlusconi e la tv, dividerli è impossibile. Tanto che una suggestione si fa largo nella mente del Cavaliere negli ultimi giorni di trattative del centrodestra per il totoministri: il Ministero dello Sviluppo economico. Detto anche Mise - lo ha guidato con Draghi il leghista Giancarlo Giorgetti - è salito in cima alla lista dei desiderata forzisti. Il motivo? A pesare - sussurrano i ben informati - ci sono le ricche deleghe del dicastero di Via Molise sui servizi audiovisivi. Frequenze, bonus, tv locali e nazionali, fino alla Rai. Un pacchetto che - va da sé - non disdegnerebbe il patron di Mediaset. E infatti a sgombrare il campo nella serata di ieri ci ha pensato una velina targata Forza Italia: Mise e Giustizia sono, al momento, i ministeri più ambiti. Ma i crucci di Berlusconi, tornato ieri a Roma per una serie di incontri a Villa Grande, non finiscono qui. «Bisogna trovare una collocazione per Licia», dice ai suoi. Cioè Licia Ronzulli, fedelissima per cui resta in bilico un posto di peso nel prossimo governo. Lo stallo innervosisce non poco l'ex premier: niente personalismi, è una questione di metodo, «io mica sono mai andato a sindacare in casa di Fratelli d'Italia?». Il Cavaliere non intende cedere sulle sue richieste. Tra le altre, gli Esteri per il coordinatore azzurro Antonio Tajani. O ancora il tentativo di spostare Ronzulli (in un primo momento si era ipotizzata la Sanità o l'Istruzione) al Turismo. Quanto alla Giustizia pensa a Sisto e a un ruolo per Bernini.

Il ruolo di Silvio Berlusconi nel nuovo governo, Forza Italia è ancora indispensabile

Sia nella Lega che in FI, comunque, la situazione resta quella d'attesa.

Per il momento la volontà è di non muoversi di un centimetro dalle caselle e dai nomi avanzati. Ma anche per il ruolo di Guardasigilli, così come quello di Salvini per il Viminale, FdI glissa. Da qui il braccio di ferro. Con i parlamentari arrivati in massa per l'accreditamento che auspicano una soluzione al più presto. Il leghista Calderoli, nome in pole per il Carroccio, non molla sulla presidenza di Palazzo Madama e avrebbe anzi chiesto al partito di schierarsi al suo fianco contro La Russa per dare battaglia.

 

«Noi puntiamo su Calderoli al Senato», rincara il capogruppo dei leghisti a Montecitorio Molinari. Salvini lo ha ripetuto più volte e il vicepresidente del Senato e conoscitore di tutte le regole parlamentari è d'altronde stato inviato in tutte le trattative (era anche ad Arcore nell'ultimo vertice di coalizione). In alternativa, Calderoli potrebbe entrare al governo, magari agli Affari regionali (anche se si pensa a un veneto) o alle Riforme (qualora Meloni decidesse di cedere quella delega).

Ieri intanto Salvini ha visto Giorgetti e ha voluto sapere cosa succede per il post-Franco. E l'attuale ministro dello Sviluppo, che in tanti nella Lega vedono come il prossimo candidato alla regione Lombardia, ha riferito dei contatti con il presidente di FdI. Sul suo nome al Tesoro sarebbero d'accordo pure il premier uscente Draghi e il Quirinale. La prova per la Lega sarà giovedì a palazzo Madama: «Va bene puntare su Calderoli, ma non possiamo certamente fare le barricate», è comunque il refrain. Così come in FI la spinta è quella di votare la fiducia, ma pure Per quanto riguarda l'elezione della seconda carica dello Stato Salvini ha promesso che farà tutto il possibile per spuntarla. E in Fratelli d'Italia si teme che ci possano essere delle defezioni nell'Aula.
Per questo motivo FdI dovrebbe andare fino in fondo per poi dipanare successivamente la matassa. Il fatto che Meloni abbia deciso di andare dritto e di evitare il vertice di coalizione cambia il quadro. In FI e nella Lega il malessere è legato alla volontà di arrivare al più presto a un'intesa ma il timore è che all'orizzonte si possa concretizzare il fantasma di Draghi, ovvero quando il presidente del Consiglio portò i nomi al Quirinale senza consultarsi con i leader del centrodestra in maggioranza. «Lo spazio per un accordo c'è, deve essere Meloni a lavorare alla sintesi», la spinta in entrambi i partiti.

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