Autonomia, aumento delle tasse per garantire i fondi a Lombardia e Veneto

Autonomia, rischio aumento delle tasse. L’allarme dei tecnici
di Andrea Bassi
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Venerdì 8 Marzo 2019, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 9 Marzo, 14:43

Una clausola di salvaguardia per i conti dello Stato. Niente, invece, per garantire le tasche dei cittadini dagli effetti “collaterali” del regionalismo differenziato, la richiesta di autonomia di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. E il punto è che, tra i tecnici dei ministeri e quelli del Parlamento, serpeggia più di un dubbio che la pressione fiscale per tutti i contribuenti possa aumentare. Anzi, è quasi una certezza.

È l’effetto di come è stato scritto l’articolo 5 delle bozze d’intesa, quello pubblicato sul sito del Dipartimento degli Affari Regionali e sul quale, il ministro Erika Stefani ritiene di aver avuto un via libera «di massima» da parte del ministero del Tesoro che, invece, non ha ancora messo nessun bollino sotto quella norma.

Qual è il punto? Il nodo è il combinato disposto di due commi dell’articolo 5. Il primo dice che, in attesa che arrivino i fabbisogni standard, ossia che sia stabilito quanto effettivamente debba essere riconosciuto come risorse finanziarie per ogni servizio trasferito alle tre Regioni, che l’ammontare delle risorse assegnate «non può essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse». Il secondo comma, fatto inserire in fretta e furia dal ministero dell’Economia, prevede invece che dall’applicazione dell’intesa «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». L’effetto dei due commi, secondo i tecnici, renderebbe ineluttabile un aumento delle tasse o in alternativa un taglio della spesa pubblica. La ragione è semplice.

Garantire a Veneto e Lombardia «il valore medio pro-capite della spesa statale» per l’esercizio delle funzioni trasferite, significa che le due Regioni otterranno più risorse di quelle che spendono oggi per istruzione, ambiente, infrastrutture e per tutte le altre che hanno richiesto. Secondo i calcoli fatti dall’agenzia di rating Fitch, i bilanci delle due Regioni diventerebbero più “pesanti” di circa il 50%. Solo per il Veneto sarebbero 6 miliardi in più. Lo Stato centrale, dunque, dovrebbe rinunciare a quote di Iva e Irpef trasferite a Veneto e Lombardia per finanziare le funzioni regionalizzate, in quantità maggiore dei soldi spesi oggi centralmente per pagare quegli stessi servizi. Se però, tutto questo, come dice il secondo comma dell’articolo, deve avvenire «senza oneri» a carico della finanza pubblica, allora sarà necessario trovare delle coperture: aumenti di tasse o tagli di spesa.

Un altro elemento che inizia a suscitare qualche perplessità, è che le intese non citano mai la legge sul federalismo fiscale. Insomma, è come se tutto si muovesse al di fuori di quell’impianto. Eppure il federalismo dava una cornice importante distinguendo le funzioni Lep (per le quali devono essere determinati i livelli essenziali delle prestazioni) e le funzioni non-Lep. Le prime hanno delle prescrizioni di perequazione, ossia di solidarietà verso gli enti con meno risorse, maggiori. Non si capisce, insomma, perché la cornice del federalismo non sia entrata nelle intese.

LA PARTECIPAZIONE
Resta sullo sfondo anche il tema del debito pubblico. Non è chiaro, dalle intese, come le Regioni potranno in futuro partecipare agli sforzi di finanza pubblica in caso di necessità. Cosa accadrebbe, per fare un esempio estremo, se lo Stato decidesse una manovra di contenimento della spesa, per esempio, bloccando gli stipendi statali? Il personale regionalizzato parteciperebbe? E in caso negativo, in che modo le Regioni che hanno ottenuto l’autonomia differenziata parteciperebbero? Tutte domande per le quali ancora non c’è una risposta. Intanto il ministro per gli Affari Regionali Erika Stefani continua a lavorare con determinazione sull’attuazione dell’autonomia ma sempre «con un continuo confronto» con le parti interessate. E, a questo proposito, il governatore della Campania Vincenzo De Luca ha azzardato un «si può cominciare da subito» aprendo «un dibattito in Parlamento» che «non può essere chiamato a ratificare solo un sì o un no».

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