Autonomia, il rischio di Roma: perdere il 25% dei redditi in 10 anni

Autonomia, il rischio di Roma: perdere il 25% dei redditi in 10 anni
di Diodato Pirone
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Sabato 2 Febbraio 2019, 07:15

La partita sull'autonomia regionale rafforzata, cioè sul passaggio di nuovi e molti poteri dallo Stato alle Regioni, rischia di colpire al cuore la Capitale. Roma, come indicato da Unindustria e Ambrosetti, ha sofferto duramente la crisi e oggi può contare su un Pil inferiore a quello di otto anni fa. Ebbene le stime confindustriali indicano che, se non si inverte la tendenza, fra 10 anni il Pil pro-capite dei romani sarà inferiore del 25%.
In questo quadro poco rassicurante sta per piombare sulla capitale il dossier della nuova legge sui maggiori poteri alle Regioni che, gioco forza, rischia di portar via da Roma migliaia di posti di lavoro, grosse quote di capitali ma soprattutto una gran parte del valore aggiunto che sotto forma di mediazione e di guida ogni capitale assicura al proprio Paese.

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Ma che cos'è esattamente questa legge? E come ci siamo arrivati? Tutto nasce dai referendum consultivi (vale la pena sottolinearla questa parola: consultivi) che si sono svolti in Veneto e Lombardia il 23 ottobre del 2017. In quelle due Regioni la maggioranza dei cittadini si è detta favorevole a negoziare con Roma lo spostamento verso Venezia e Milano dei poteri su 23 materie. Anche la Regione Emilia - con una legge regionale - ha chiesto più poteri su 15 materie. Più poteri alle Regioni significa gioco forza riduzione del ruolo della Capitale.
Il 28 febbraio 2018 l'allora governo Gentiloni e le tre Regioni firmarono un accordo di massima, non una legge , che però non concedeva alle Regioni poteri sulle tasse.
Ora il governo Conte ha fissato al 15 febbraio la firma di una nuova intesa (nel frattempo altre Regioni si sono unite alle prime tre) e intende presentare un'apposita legge. La materia è complicatissima e delicata. Ne va dell'equilibrio dell'intera nazione e del futuro di Roma. Per questo la nuova legge dovrà essere votata a maggioranza qualificata. Ovvero alla Camera da almeno 316 deputati e al Senato da 161 senatori.
 

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