Una delle proposte politiche più pericolose in questo senso è la “secessione dei ricchi del nord”. Il riferimento è alle richieste di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna di acquisire competenze e risorse molto maggiori, spostandole dal livello statale a quello regionale. Di maggiore autonomia regionale si può naturalmente discutere; è un processo che presenta pro e contro, a seconda delle materie di cui si discute.
E a seconda delle conseguenze che il loro trasferimento ad alcune regioni può comportare per i grandi servizi pubblici e il benessere di tutti i cittadini.
E’ proprio da questi punti di vista che la proposta attualmente in discussione si configura come una secessione del ricco Nord. In primo luogo perché stabilisce che i cittadini delle regioni più ricche hanno diritto a maggiori servizi pubblici rispetto agli altri (come conseguenza di un nuovo meccanismo di finanziamento, che quantificherebbe le risorse necessarie per i servizi trasferiti anche in relazione al gettito fiscale regionale). Il che, per date risorse pubbliche complessive, significa ridurre le disponibilità per gli altri. Poi, perché non è relativa a specifici ambiti, ma riguarda tutti le 23 materie per cui il processo è teoricamente possibile. Si spazia così dalla sanità (eliminando le basi stesse del servizio sanitario nazionale) alla scuola, su cui è molto incisiva: Lombardia e Veneto chiedono infatti di passare ad una scuola regionalizzata, in cui le Regioni assumono i docenti e ne stabiliscono salari e condizioni contrattuali e intervengono sulla programmazione. Si chiude la scuola pubblica nazionale. Si reclama un vero e proprio potere d’interdizione sulle grandi infrastrutture (su cui, curiosamente, non si è sentita neanche una voce dei sostenitori delle “grandi opere”); vaste competenze esclusive, dai beni culturali alla previdenza complementare. Fino alle proposte più eccentriche, come quella di regionalizzare l’Istat: come se la statistica veneta fosse migliore di quella nazionale. La secessione dei ricchi non cade dal cielo: è la realizzazione del disegno a lungo e coerentemente sostenuto dalla Lega, per cui gli italiani dei propri territori di elezione vengono prima degli altri: con più risorse e più poteri locali.
Di tutto ciò, dei danni profondi che potrebbe portare all’intero paese, ed ai cittadini che vivono nelle regioni meno forti, non si discute affatto, con la calma e la profondità necessaria. Si è rafforzato invece, negli ultimi giorni, il grido del Nord che chiede con urgenza l’autonomia. Senza mai accettare la discussione, rispondere alle obiezioni, entrare nel merito: l’unico mantra è che bisogna lasciare soldi e poteri ai territori più forti, perché possano correre da soli. E che gli altri si arrangino, e si diano finalmente da fare. Magari destinando ai meridionali un po’ di elemosina di reddito di cittadinanza, proprio mentre si riducono quei diritti, in primis all’istruzione e alla salute, che la rendono effettiva. Si alzano i toni delle contrapposizioni territoriali.
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