Michele Emiliano: «L'Autonomia va fermata, è il Paese che non la vuole»

Il governatore pugliese: «La legge fa solo gli interessi della Lega, serve uno stop»

Emiliano: «L'Autonomia va fermata, è il Paese che non la vuole»
di Andrea Bulleri
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Venerdì 24 Febbraio 2023, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 08:52

Una riforma che interessa soltanto alla Lega di Matteo Salvini, che «pur di uscire dall’ombra in cui è relegato è disposto anche a mettere a rischio la tenuta del Paese». E che, assicura, ha fatto sorgere parecchi dubbi anche tra i governatori di centrodestra, che «le loro critiche le esprimono a bassa voce, ma sono perplessi tanto quanto noi». Michele Emiliano, invece, la sua contrarietà al ddl Calderoli sull’autonomia differenziata intende farla sentire forte e chiara. «Così com’è, questa legge rischia di essere incostituzionale: invece di ridurre le diseguaglianze le aumenta. Calderoli si fermi – è l’appello del presidente della Puglia – e ascolti il coro di contestazioni che ha investito il suo progetto».

Presidente Emiliano, prima eravate soltanto voi governatori a dire no all’autonomia, ora si sono messi di traverso anche i sindaci. La Lega però tira dritto: che farete?
«Innanzitutto mi faccia dire questo.

Nel Paese non esiste alcun afflato per questa riforma. Non ho sentito un solo esponente dei sindacati, né di Confindustria, né di altre grandi associazioni imprenditoriali chiederla. Né interessa ai cittadini. Serve solo alla Lega, che da partito minoritario nella maggioranza ha necessità di ritagliarsi un ruolo. Ma questo giustifica un intervento così profondo sulle istituzioni?».

I governatori del Carroccio però sostengono che la riforma la vogliono anche al Sud... 
«Al contrario: al Sud, e non soltanto, ad avere dubbi sono anche i presidenti di Regione del centrodestra. Magari li somministrano con garbo, sotto forma di tecnicismi. Ma nessuno di loro è stato abbagliato da Calderoli». 

E i sindaci? Condivide le loro perplessità? 
«Il fatto che anche l’Anci sia scesa in campo dovrebbe fare riflettere. Si rischia un neocentralismo regionale, con i Comuni già indeboliti dagli ultimi 20 anni di finanza pubblica sempre più relegati a un ruolo di margine, dipendenti in tutto e per tutto dalle Regioni». 

Dunque, è pronto alle barricate in Conferenza Stato-Regioni? 
«Cercheremo di farli ragionare. La mia proposta è: fermiamo le macchine. Finora la fretta ha fatto mancare il necessario approfondimento. Invece bisogna convocare una grande conferenza istituzionale, con i rappresentanti delle amministrazioni locali, ma anche sindacati ed enti intermedi, per ragionare sui rischi a cui tutto ciò potrebbe condurre».

Cosa serve, per migliorare il ddl? 
«Innanzitutto, il metodo: il Parlamento non può giocare un ruolo secondario, devono essere le Camere a stabilire quanta e quale autonomia concedere alle Regioni, non il governo. E poi serve un riequilibrio complessivo dei poteri, che dia più spazio alle città metropolitane. Per il loro ruolo, avrebbero diritto a uno statuto che si avvicini a quello delle Regioni». 

Una riforma che tocchi anche la Costituzione? 
«Serve un ridisegno complessivo delle istituzioni, che coinvolga anche il Titolo quinto, la ridefinizione delle province. Tanto più se nell’obiettivo del governo c’è anche il presidenzialismo: non si può procedere per compartimenti stagni». 

Il ddl Calderoli è incostituzionale, come sostiene il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri?
«L’Autonomia è prevista dall’articolo 116 della Costituzione. Ma il rischio che questa legge finisca per violare la Carta è molto elevato. Perché cristallizza le disuguaglianze, che l’articolo 3 impone di rimuovere, e non tiene affatto conto di quella “solidarietà sociale” promossa dall’articolo 119». 

Come se ne esce? 
«Finanziando i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. Servono tra i 70 e i 100 miliardi, secondo le nostre stime. Altrimenti è una presa in giro. Ed è qui che il progetto di Calderoli potrebbe impantanarsi». 

Prima però i Lep andranno individuati. A farlo, potrebbe essere una commissione composta da “fedelissimi” di Luca Zaia. Uno sgarbo istituzionale?
«Più che uno sgarbo, si tratta di un’ingenuità. Se vuoi modificare le regole del gioco devi costruire un consenso largo, non puoi egemonizzare l’arbitro. È un errore gravissimo, che rischia di indebolire ancora di più il processo in atto. Lo ripeto: meglio fermarsi».

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