Autonomia, sui fondi il Tesoro tagliato fuori: il controllo toccherà a una Commissione Stato-Regione

Il ministero dell’Economia chiamato soltanto a un parere prima del negoziato

Autonomia, sui fondi il Tesoro tagliato fuori: il controllo toccherà a una Commissione Stato-Regione
di Andrea Bassi
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Sabato 14 Gennaio 2023, 00:26 - Ultimo aggiornamento: 17:48

Uno spettatore. O poco più. Nella complessa partita per l’autonomia chiesta da Veneto e Lombardia, il ministero dell’Economia sarà, nella sostanza, tagliato fuori. Eppure al tavolo del negoziato tra Stato e Regioni si discuterà di come “appaltare” pezzi di tasse come l’Irpef e l’Iva ai governatori che chiedono di gestire ben 23 delle competenze che oggi sono esercitate dal governo centrale. Si tratta, insomma, di mettere le mani in quello che, si potrebbe definire prendendo in prestito un termine del mondo delle imprese, il “core business” del ministero dell’Economia. L’unico, tra l’altro, con la Ragioneria generale dello Stato, ad avere le competenze per stimare il reale impatto sui conti dello Stato del trasferimento delle risorse alle Regioni. Per capire quanto la questione dei soldi rimanga centrale nel disegno autonomista delle Regioni settentrionali, conviene fare un passo indietro, fino al 28 aprile dello scorso anno. È la data riportata sulla bozza di legge Quadro per l’autonomia predisposta dall’allora ministro per le Attività Regionali del governo Draghi, Mariastella Gelmini. In quella proposta, che pure conteneva molti limiti, all’articolo 5 era previsto un «monitoraggio» annuale sulle risorse assegnate alle Regioni. Lo scopo dichiarato era di verificare i «profili finanziari» delle intese ed eventualmente «adeguarli». Cosa significa? Supponiamo per semplicità che per gestire le 23 competenze trasferire alle Regioni servano 10 miliardi di euro. 

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Per finanziare le intese, allora, lo Stato potrebbe assegnare una parte dell’Iva maturata nel territorio.

Diciamo, solo per fare un esempio, il 5 per cento. Ma cosa succede se dopo un anno il gettito Iva aumenta e, per esempio, invece di incassare 10 miliardi se ne incassano dodici? A chi vanno i due miliardi in più, allo Stato o alla Regione? È, al momento, uno dei punti irrisolti dell’autonomia, perché lasciare questi fondi alla Regione significherebbe in qualche modo far entrare dalla finestra il concetto del “residuo fiscale”, ossia trattenere sul territorio una parte del gettito che invece dovrebbe essere versato allo Stato.

Per evitare che questo potesse accadere, la bozza Gelmini chiamava a vigilare il ministero dell’Economia e l’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Authority di controllo sui conti pubblici riconosciuta dall’Europa. Nella nuova bozza trasmessa a Palazzo Chigi e alla Conferenza delle Regioni, il principio del monitoraggio annuale resta. Ma la vigilanza viene sottratta al Tesoro e all’Upb per essere assegnata alla «Commissione paritetica» Stato-Regioni. Di che si tratta? Di un pugno di tecnici che, in pratica, deciderà su tutte le questioni più delicate dell’autonomia: dai soldi ai dipendenti da trasferire. 

LA COMPOSIZIONE

La composizione di questa Commissione è rimandata alle intese. E qui bisogna fare un altro passo indietro, al 2019. La vecchia bozza di intesa del Veneto, per esempio, prevedeva che questo organismo fosse composto da 9 membri di nomina governativa e 9 scelti dalla Regione. E i ministeri? Chiamati solo a “collaborare”. 
Nella nuova legge Quadro sull’autonomia, il Tesoro entra in scena solo una volta: prima che Regione e governo (tramite il ministero degli Affari Regionali) inizino il negoziato. Il suo compito è solo quello di dare un parere entro 30 giorni all’atto di iniziativa della Regione che dà il via alle trattative. Ma c’è anche un’altra differenza rilevante tra la bozza Gelmini dell’autonomia e quella nuova. Nella prima, quando si spiegava in che modo si sarebbe potuto finanziare il trasferimento alle Regioni, c’era un riferimento anche ai «tributi propri». Le Regioni insomma, potrebbero finanziare almeno in parte le intese anche con tasse locali e non soltanto chiedendo allo stato un pezzo dell’Irpef o dell’Iva oggi incassata dal governo centrale. Un riferimento invece cancellato dalla nuova legge Quadro inviata a Palazzo Chigi. 

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