Asili nido, progetti Pnrr in ritardo: a rischio 2mila strutture. Corsa per salvare i fondi

L’Italia chiede una proroga di sei mesi: «Non perderemo i finanziamenti Ue»

Asili nido, progetti del Pnrr in ritardo: a rischio 2mila strutture. Corsa per salvare i fondi
di Francesco Bechis
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Giovedì 27 Aprile 2023, 00:23 - Ultimo aggiornamento: 10:48

Culle vuote. Asili, anche. L’Italia del declino demografico non è solo a corto di bambini ma anche di strutture dove educarli e farli crescere. E forse neanche il Pnrr riuscirà a invertire il trend. Tra gli obiettivi a rischio per la quarta rata del piano di ripresa di giugno - 16 miliardi di euro - c’è infatti l’aggiudicazione dei lavori per costruire nuovi asili nido. Per la precisione, 1857 asili e 333 scuole materne entro il 2026, per un totale di 264.480 nuovi posti. Missione ambiziosa. Troppo, ha ammesso ieri il ministro per gli Affari Ue Raffaele Fitto durante l’informativa in Parlamento, «stiamo lavorando per salvare gli asili dal rischio che il non raggiungimento dell’obiettivo al 30 di giugno li possano mettere in discussione».

LA ROADMAP
Le lancette corrono.

Entro il 31 maggio, stando alla roadmap concordata con Bruxelles, è infatti prevista l’aggiudicazione di tutti gli appalti. Ritardi, lungaggini burocratiche e l’inerzia dei comuni costringono ora a rivedere quella tabella di marcia. E a mettere in discussione un pilastro del Pnrr italiano che può risolvere un problema cronico in un Paese in cui, dati Istat, un bambino su tre ha accesso ai servizi per la prima infanzia. Il rischio di un frontale con la Commissione sugli asili nido è nell’aria da tempo. Del resto, ha ricalcato ieri Fitto in aula, la misura del piano italiano aveva già «accumulato ritardi evidenti in fase di selezione». In effetti segnali premonitori non sono mancati. Prima il bando disertato nel febbraio 2022 e rinviato di mese in mese. Poi i ritardi del ministero dell’Istruzione che ha pubblicato ad agosto, invece che a giugno, la graduatoria con gli interventi finanziati. Dunque il nuovo rinvio, disposto in autunno dal nuovo ministro Giuseppe Valditara, che ha spostato dal 31 marzo al 31 maggio l’ultima data utile per aggiudicare gli appalti. In totale, sono serviti ben quattro bandi per assegnare tutti i fondi.

Come non bastasse, negli ultimi mesi si è aggiunta la scure del caro-materiali che ha spinto le aziende a inoltrare richieste di modifica dei progetti - più di seicento - per tener conto dell’inflazione. Le responsabilità insomma sono diffuse. Chiamano in causa anche i comuni italiani, gran parte dei quali ha disertato i bandi, vuoi per la carenza diffusa di tecnici per il Pnrr, vuoi per fattori culturali e sociali legati al territorio (specialmente al Sud molte famiglie preferiscono educare a casa i bambini in tenera età). Un forfait pagato a caro prezzo, come rilevava a novembre una severa relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio spiegando come lo scarso interesse degli enti locali ai bandi per gli asili «potrebbe compromettere l’adeguamento dell’offerta dei servizi per l’infanzia al Leps (Livelli essenziali delle prestazioni sociali)». Da parte loro, i sindaci riuniti nell’Anci hanno puntato il dito contro lentezze e ostruzionismi della macchina burocratica a partire dai malfunzionamenti del sistema informatico ReGis che documenta i progetti del Pnrr. Tra un rimpallo e l’altro il quadro resta in bilico. Non è affatto scontato infatti che dalla Commissione Ue arrivi un via libera alla revisione del target di giugno. «Stiamo trattando per salvare l’obiettivo», ha rassicurato Fitto durante l’informativa senza riuscire a convincere le opposizioni, «a rischio c’è la vita delle persone, gettare la spugna sarebbe troppo grave», ammonisce dal Pd Francesco Boccia. Il governo, ha spiegato di recente Valditara, spera di ottenere una nuova proroga di sei mesi rispetto alla scadenza del 31 maggio. 

UNA CRISI ITALIANA
I numeri parlano da sé: perdere i fondi del Pnrr destinati agli asili nido è un lusso che l’Italia non può permettersi. Come spiega un’analisi di Open Polis l’Italia è infatti ben lontana dagli obiettivi fissati dal Consiglio europeo di Lisbona del 2002 dedicato ai servizi per l’infanzia. Allora i Paesi Ue si impegnarono a tagliare due traguardi: offrire asili nido almeno al 33 per cento dei bambini al di sotto di 3 anni e scuole di infanzia al 90 per cento dei bambini tra i tre anni e l’età dell’obbligo scolastico. 

Traguardi ancora lontani in Italia, dati alla mano. Solo sei regioni oggi superano la soglia del 33% e tutte al centro-Nord (Umbria, Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Lazio, Toscana, Friuli-Venezia Giulia). Al Sud solo il 46 per cento dei comuni offre servizi per la prima infanzia. Ecco spiegata la corsa del governo Meloni per rimodulare gli obiettivi e salvare i fondi. Europa permettendo. 
 

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