80 euro Renzi, stop della Lega: cambia nome e diventa una detrazione

80 euro Renzi, stop della Lega: cambia nome e diventa una detrazione
di Michele Di Branco
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 7 Agosto 2019, 11:10 - Ultimo aggiornamento: 1 Settembre, 11:42

Lo chiameremo Bonus 90 euro. O forse addirittura 100. E di sicuro, in futuro, varrà anche per rimpolpare la pensione. Governo al lavoro per mandare in soffitta gli 80 euro di Renzi, la mossa che consentì all'ex premier di sfondare alle Europee 2014 proiettando i democratici verso quota 40%. Il meccanismo, così com'è, al ministro dell'economia, Giovanni Tria, non è mai piaciuto.

Tav, al via il voto in Senato. M5S: «Inciucio Lega e Pd». Salvini: «Non si può lavorare così»

«Tecnicamente ha spiegato il ministro in più di una circostanza quella di Renzi è stata una decisione sbagliata, dal momento che gli 80 euro risultano come spese e non come un vero e proprio sconto fiscale». Parole che preannunciavano la voglia di cambiamento. E ieri, il braccio destro di Tria in via XX Settembre, ha esplicitato formalmente le intenzioni dell'esecutivo. «Pensiamo a 10-15 miliardi di riduzione delle tasse ha detto il viceministro, Massimo Garavaglia, - a partire dal superamento del bonus Renzi che non vale dal punto di vista dell'accumulo contributivo per la pensione». Per superamento, ha precisato l'esponente leghista, si intende la trasformazione in decontribuzione. Elemento che apre ad uno scenario del tutto inedito. Tanto per cominciare, Palazzo Chigi punta a cancellare l'impostazione attuale, che prevede la semplice erogazione di denaro in busta paga da parte del sostituto d'imposta (fino un massimo di 960 euro a quota 24.500 di reddito), trasformando il meccanismo, con ogni probabilità, in una detrazione fiscale.

L'OPERAZIONE
L'operazione rientrerebbe nel quadro della riforma delle Tax expenditures sulla quale è impegnata una task force del Tesoro. E dal cui disboscamento, tra l'altro, si prefigurano 2 miliardi di risparmi utili per comporre la legge di Bilancio. Tra gli obiettivi, tra l'altro, ci sarebbe anche quello di aumentare il peso del bonus. Il quale, appunto, rientrando nel recinto fiscale, entrerebbe nel montante contributivo producendo effetti positivi sulla futura pensione. Il problema è che la nuova architettura avrebbe un senso solo a patto che il rimescolamento delle aliquote Irpef possa garantire un vantaggio fiscale ed economico superiore ai 960 euro annuali riconosciuti sul salario a 11 milioni di contribuenti.

In poche parole, il governo deve trovare risorse aggiuntive rispetto ai 9,7 miliardi messi a copertura dell'attuale Bonus da 80 euro. Quante risorse? Impossibile dare una risposta, in questo momento. Ma comunque non meno di 4 miliardi. Occorre ricordare che il Bonus è già stato oggetto di modifiche in passato. Entrato in vigore nell'aprile 2014 a beneficio dei dipendenti con un reddito tra gli 8 e i 26 mila euro l'anno (con un decalage fino a zero per i redditi che vanno da 24.000 a 26.000 euro), la misura è poi diventata strutturale con la legge di stabilità 2015.

Ma, tre anni dopo, il governo Gentiloni ha deciso di ampliare la platea dei beneficiari alzando il tetto del reddito da 24mila a 24.600 euro, e da 26mila a 26.600 euro. Una soluzione, quest'ultima, che ha consentito ai lavoratori statali prima esclusi di rientrare nella soglia. Ma che non ha permesso di superare uno dei problemi burocraticamente più fastidiosi: quello delle porte girevoli. Vale a dire l'obbligo di restituzione a carico di chi, per effetto dell'aumento del reddito, ha dovuto restituire gli 80 euro. Si tratta di quasi 2 milioni di contribuenti e, dichiarazioni alla mano, nel 2018, hanno dovuto restituire 385 milioni di euro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA