25 aprile, festa che stride con la pandemia: resistere è un'altra cosa

25 aprile, festa che stride con la pandemia: resistere è un'altra cosa
di Mario Ajello
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Venerdì 24 Aprile 2020, 10:49 - Ultimo aggiornamento: 12:39

Un 25 aprile così strano, ma anche così capace di svelare la condizione in cui versa la cultura italiana, non s'era mai visto. Merito, si fa per dire, del lockdown. Questa edizione della festa partigiana, rito stanco, cerimonia declinante e sempre più sbiadita nella coscienza degli italiani, sembrava dover essere a partecipazione zero, per via del tutti a casa. E invece la forza del politicamente corretto targato Anpi - l'associazione dei partigiani senza più partigiani, con il 90 per cento di iscritti nella fascia d'età tra i 20 e i 65 anni, che non hanno mai imbracciato un fucile e combattono gridando fuori tempo massimo: «Ora e sempre Resistenza!» - ha strappato al governo il passaporto, per poter festeggiare come sempre e come se nulla fosse.

E se il Papa ha dovuto celebrare la Pasqua da solo, come richiesto da una situazione eccezionale, i post-partigiani sono liberi e autorizzati ad officiare la loro messa in deroga a ogni precauzione sanitaria. A riprova che nessun governo, per motivi di consenso, per non discostarsi dalle comodità del pensiero corrente, ha il coraggio laico di mettere in discussione la religione della memoria resistenziale. Nonostante quella memoria - e qui c'è l'impostura, qui si svela la subalternità culturale della politica vigente - sia rappresentata da un gruppo, e parliamo ancora dell'Anpi, che fa politica come un qualsiasi partito di sinistra ma trae la sua fonte di legittimazione da un evento storico che dovrebbe essere di tutti. O almeno così lo aveva concepito Alcide De Gasperi, quando su sua proposta, in accordo con il comunista Giorgio Amendola, sottosegretario della presidenza del consiglio (oggi è il grillino Fraccaro e a lui si deve la concessione del passaporto ai post-partigiani fuori sincrono e fuori contesto) venne istituita nel 1946 la festa della Liberazione.

RETORICA
Quel che degli ultimi 25 aprile ha impressionato è stata la sproporzione tra l'enfasi del ricordo, gonfiato anche nei numeri perché in quelle giornate della lotta anti-fascista non erano più di 130mila gli italiani in armi e poi la retorica e la convenienza li hanno fatti lievitare lungo i decenni, e la realtà del fatto storico del 45. In cui l'Italia attendista e la cosiddetta zona grigia rappresentavano la stragrande maggioranza. Ed è bellissimo, solo per fare un esempio, come in uno dei libri migliori su quel periodo - Napoli 44 di Norman Lewis, più volte ripubblicato da Adelphi - non si accenni affatto alla diade fascismo-antifascismo, che poi è diventata invece la chiave per spiegare ogni millimetro della storia italiana e per allestire il rito del 25 aprile.

L'OCCASIONE
Questa volta, l'assenza delle celebrazioni poteva essere un momento di silenzio, e di liberazione dalle polemiche e dalle fanfare, e l'occasione per mettere nella giusta luce un passaggio cruciale della nostra storia. Da cui sono passati 75 anni, il tempo di tre generazioni, e il fatto che la maggior parte dei protagonisti non ci sia più offrirebbe il vantaggio di potersi approcciare al fenomeno resistenziale più con la ragione che con l'emozione. E andrebbe detto anche - oppure suona come un scandalo? - che nell'Italia d'oggi, nel cosiddetto Paese reale, per i più giovani la Resistenza è un'esperienza lontana che conoscono appena, mentre per la generazione di mezzo è un ricordo più o meno superato. Ma se alla Resistenza e alla Liberazione vengono tolte le maiuscole, questi due concetti, anzi questi due dati di fatto, alla luce delle attuali traversie non a caso paragonate a una guerra assumono un significato vero, pratico, non riconducibile all'Italia di allora ma all'Italia di sempre e a quella odierna in particolare.

SENZA FRATTURE
La resistenza contro la pandemia.

La liberazione, sperabile, dal virus. Ecco, in maniera unitaria e non minoritaria, con una pratica della solidarietà collettiva e senza fratture se non a livello politico, l'esperienza che gli italiani stanno vivendo. La grande prova patriottica che ci riguarda. E se poi, come accadde dopo la seconda guerra mondiale, sapremo avviare in un clima di concordia popolare anche la ricostruzione, il prossimo 2 giugno la festa della Repubblica non solo surclasserà questo strano 25 aprile ma anche tutti gli altri.

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